di Daniela Preziosi

"Renzi ha fatto un passo indie­tro. Ed è un passo indie­tro che gli costa. Ha rico­no­sciuto che il par­la­mento deve avere un ruolo quando si dà una delega. Ha rico­no­sciuto che la com­mis­sione farà emen­da­menti. È un cam­bio di rotta: fino a qui ha sem­pre fatto sapere che avrebbe messo la fidu­cia sul testo del senato. Ora ha capito che una parte signi­fi­ca­tiva del Pd non avrebbe con­di­viso". Per Ste­fano Fas­sina, dopo giorni di pole­mi­che, è la gior­nata delle mezze sod­di­sfa­zioni. Mezze, pro­prio come mezze sono le aper­ture del governo sul jobs act. Di "cor­re­zioni cosme­ti­che" del resto il pre­mier aveva par­lato ai suoi già nelle ore in cui lo scon­tro interno sem­brava avviato verso la frat­tura.

La mossa del pre­mier è abile e ben con­si­gliata. L’accordo rag­giunto — negli incon­tri con Roberto Spe­ranza, capo­gruppo alla camera ber­sa­niano ten­denza com­pa­ti­bile, Cesare Damiano, pre­si­dente della com­mis­sione lavoro ed ex sin­da­ca­li­sta quindi trat­ta­ti­vi­sta per defi­ni­zione, e Mat­teo Orfini, pre­si­dente Pd, sini­stra ren­zi­sta e regi­sta delle aper­ture gau­chi­ste del lea­der — sba­ra­glia i gridi di bat­ta­glia delle mino­ranze e prova a depo­ten­ziare gli scio­peri della Fiom e della Cgil. Damiano garan­ti­sce che le modi­fi­che sono "vere, di con­te­nuto".

La com­mis­sione di Mon­te­ci­to­rio ini­zierà a votarle dome­nica pome­rig­gio. Il governo ottiene che il testo venga appro­vato in aula entro il 26. Per Damiano l’accordo "scon­giura" l’ipotesi del voto di fidu­cia. Ma alcuni ren­ziani di rango sono con­vinti che pro­prio per "pro­teg­gere l’accordo" il voto di fidu­cia sul nuovo testo sarà neces­sa­rio: per evi­tare che alla camera si sca­teni una bagarre — 5 stelle e Sel già la annun­ciano — che ral­lenti il passo della delega e fac­cia sal­tare tutto. Buona parte dei depu­tati della sini­stra dem ora sareb­bero favorevoli.

Intanto però deb­bono già riman­giarsi la richie­sta di non anti­ci­pare il jobs act. Ieri alla capi­gruppo su que­sto lo scon­tro è stato duris­simo, mag­gio­ranza da una parte e oppo­si­zioni dall’altra. «Un sopruso», secondo il for­zi­sta Renato Bru­netta e il ven­do­liano Arturo Scotto. Per i 5 stelle "la mino­ranza Pd si è pie­gata per l’ennesima volta ai dik­tat di Renzi in cam­bio di qual­che sca­ra­boc­chio su una delega che resta in bianco e dun­que inco­sti­tu­zio­nale. Tutto si decide ancora una volta nei con­sessi del mag­gior par­tito ita­liano e negli ama­bili fac­cia a fac­cia a Palazzo Chigi tra il pre­si­dente del Con­si­glio e il pre­giu­di­cato". Il calen­da­rio sarà votato lunedì in aula. Dove il Pd ha la mag­gio­ranza da solo, ma dovrà tenere conto anche dei malu­mori dell’Ndc che ieri ha gri­dato al tra­di­mento per il rein­se­ri­mento nella delega di un cenno al fan­ta­sma dell’art.18.

E così men­tre Spe­ranza con­voca una riu­nione sugli emen­da­menti che "ripren­dono l’ordine del giorno appro­vato nella dire­zione Pd", Nun­zia De Giro­lamo e Mau­ri­zio Sac­coni cor­rono a Palazzo Chigi da Luca Lotti e Filippo Tad­dei per for­ma­liz­zare i loro penul­ti­ma­tum. "Si tratta, la par­tita è aperta", dicono all’uscita. Ma avver­tono: "Non pos­sono pen­sare che in par­la­mento risol­viamo i pro­blemi della mag­gio­ranza e della mino­ranza del Pd. Non pos­siamo par­te­ci­pare oltre che al patto del Naza­reno anche a quello del gam­bero".

Intanto al senato il Pd si pre­para riap­pro­vare il nuovo testo in tempo record. Lo spiega il ’turco’ Fran­ce­sco Ver­ducci: "L’unità del Pd alla camera sulla delega lavoro è un impor­tan­tis­simo risul­tato". Ma dell’unità di cui parla Ver­ducci non c’è trac­cia. Ste­fano Fas­sina sul suo voto finale resta scet­tico: "Vedremo quali modi­fi­che ver­ranno intro­dotte". Se i ber­sa­niani dia­lo­ganti domani a Milano bene­di­ranno il nuovo testo, Alfredo D’Attorre non è otti­mi­sta come i col­le­ghi. Così Gianni Cuperlo: "Aspet­tiamo di vedere il testo. Allo stato si usa la for­mula di con­tratto unico a tutele cre­scenti senza alcun rife­ri­mento all’art. 18. Se ci fosse un rife­ri­mento valu­tiamo, così con­ti­nua a pro­fi­larsi il rischio di un eccesso di delega su un punto fon­da­men­tale". È la stessa cosa che l’Ndc vuole scongiurare.

E così Renzi ha tro­vato il modo per spac­care la mino­ranza Pd: alla fine solo un grup­petto potrebbe votare con­tro la delega. Ma il pro­blema tor­ne­rebbe ad essere il senato. Lì la mag­gio­ranza ha numeri risi­ca­tis­simi. Ven­ti­sette sena­tori della mino­ranza al primo giro hanno votato sì turan­dosi il naso: saranno tutti con­vinti dal nuovo testo? E cosa suc­ce­derà se qual­che malu­more Pd si com­bi­nerà con i mal­di­pan­cia di segno oppo­sto tar­gati Ncd?

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