ROMA – Una marea ha invaso Roma. Il corteo dei lavoratori richiamati nella capitale da tutta Italia dalla Cgil per dire no al Jobs act di Renzi e, soprattutto per protestare contro la cancellazione dell’art. 18 che riconsegna ai padroni il diritto a licenziare a loro piacimento, è partito in anticipo: doveva muoversi alle 9, invece la testa si è avviata alle 8,30. La ragione, come ha poi confermato la stessa segretaria generale del maggiore sindacato italiano,  Susanna Camusso, che ha ipotizzato anche il ricorso alla la proclamazione prossimamente di uno sciopero generale (il primo dopo 26 anni) se non ci sarà un ripensamento da parte del governo Renzi, da Piazza San Giovanni erano giunte notizie paradossalmente “preoccupanti” nel senso che il grande spazio era di fatto già gremito, il che avrebbe reso arduo l’afflusso di altre centinaia di migliaia di persone.

Un fatto giudicato estremamente incoraggiante dal leader della Fiom Maurizio Landini.

Sta di fatto che, quando la testa del corteo colorato dal quale si levavano i canti della sinistra, "Bella ciao" su tutti, entrava a Piazza San Giovanni, colmandola del tutto, la coda si trovava indietro di chilometri e chilometri, al punto di partenza. Un corteo immenso, punteggiato da momenti di grande partecipazione espressa dai flash mob (quello degli universitari per protesta contro il numero chiuso), da tanti cartelli di condanna nei confronti del governo, dagli striscioni e dai cori che esprimevano profonda insoddisfazione per le misure “punitive” adottate nei confronti della cultura,dell’istruzione, della sanità, dei trasporti, per gli investimenti che non si vedono, come non si vede una politica per creare il lavoro vero, quello non precario, e per uno sviluppo che tarda a venire e che è invece estremamente necessario per rispondere ai bisogni dei pensionati e di tante famiglie che non ce la fanno più ad andare avanti.

E così agli organizzatori non è restato altro da fare che “accomodare” nell’adiacente lunga via Latisana il resto dei marciatori.

Quanti saranno stati? La cifra, del tutto approssimativa, è stata fornita prima che dal grande palco sul quale campeggiava la grande scritta "Lavoro, dignita', uguaglianza per cambiare l'Italia" e dove, nell'attesa che prendesse la parola Susanna Camusso si erano avvicendati artisti e lavoratori in lotta, donne e uomini (fra i tanti anche un rappresentante dell’Ast di Terni, giovani senza una prospettiva di vita in Italia: un milione e mezzo, una cifra sulla quale Renzi, impegnato alla Leopolda, nel raduno della sua corrente dove proseguire la sua politica degli annunci, farebbe bene a riflettere perché, come ha detto la stessa Camusso, la sua legge di stabilità "non cambia verso" ad un Paese che è sempre più diseguale e non si crea una prospettiva se non si crea lavoro.

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