di Dante Barontini

 

Casini e Rutelli sgambettano le ambizioni del Pd: nella legge elettorale una "soglia di sbarramento" al 42,5% per avere il "premio di maggioranza". Quindi: parlamento ingovernabile e nuovo "governo tecnico" per i prossimi cinque anni.

Per una volta, nella “politica di palazzo” italiana, tutto avviene alla luce del sole. L'Udc, insieme ai berlusconiani, ha fatto passare un emendamento - all'interno della riforma elettorale – che porta al 42,5% la soglia di sbarramento per poter usufruire dei “premio di maggioranza”. Quella “dote” che consente di avere il 55% dei deputati e quindi di poter governare tranquillamente per cinque anni (salvo compravendita di parlamentari; non proprio un caso raro, tra gli abitanti di Montecitorio).

 

Abbiamo qui un classico caso di separazione netta tra architettura istituzionale e interesse partitico di breve termine.

Dal punto di vista dell'”equilibrio dei poteri”, infatti, una soglia così alta non fa una piega. Chi scorra i manuali di storia può trovare analogie potenti con la “legge truffa” proposta dai democristiani all'inizio degli anni '50. Promulgata il 31 marzo 1953 (n. 148/1953), la legge, composta da un singolo articolo, introdusse un premio di maggioranza consistente nell'assegnazione del 65% dei seggi della Camera dei deputati alla lista o al gruppo di liste collegate che avesse raggiunto il 50% più uno dei voti validi. Una violazione intollerabile al principio proporzionale puro, che distribuisce i seggi in base ai voti raccolti.

Al di là della soglia, dunque, il principio è lo stesso. Soltanto che quel che allora sembrava – giustamente – una forzatura autoritaria per zittire un'opposizione potente come il Pci, oggi appare (altrettanto giustamente) come un banale sotterfugio strumentale per impedire che il partito per adesso favorito alle prossime elezioni politiche (il Pd) possa ottenere la maggioranza pur con un risultato intorno a quel 30% attribuitogli dai sondaggi.

 

Misteri della politica? No. Effetti del governo della troika.

Diciamo dunque le cose come stanno. Il timore della borghesia multinazionale europea – e non solo – è che in questo paese si produca un risultato elettorale che non garantisca la “continuità” con le politiche messe in atto dal governo Monti. Il cartello Pd-Vendola appare ai loro occhi suscettibile di tentazioni “welfariste”, esposto com'è a pressioni provenienti dalla base (elettorale e) sindacale Cgil. Un exploit “grillino” al di là del pur terrificante 20% fin qui stimato, finirebbe per impedire la formazione di coalizioni “responsabili” in ottica continuista. La dissoluzione del Pdl e il populismo soft della Lega maroniana, su un altro versante, non lasciano speranze di coagulo intorno al “piccolo asse” Udc-Rutelli-Fini.

Ecco quindi la necessità di aprire l'autostrada per un Monti-bis, tenendo come carta di riserva quella di Monti al Quirinale. Una legge elettorale che garantisce l'impossibilità di creare un governo “politico”, fatto esclusivamente di alleanze parlamentari, di fatto prefigura un rinnovo di mandato per un “governo tecnico” fotocopia dell'attuale (senza peraltro dover confermare necessariamente tutti i nomi della playlist).

 

Che questa mossa sia venuta dai “montiani forever”, come Rutelli & co., è addirittura un gesto di chiarezza.

La domanda che resta è: in base a quali considerazioni politiche ciò che resta della “sinistra extraparlamentare” si presenta alle elezioni?

Non partiamo da una pregiudiziale contraria, vorremmo discuterne l'utilità. C'è già chi ha chiarito di voler far parte del cartello Pd-Vendola (Diliberto, Patta, Salvi), accettando quindi fin d'ora – di fatto, perché le chiacchiere “socialdemocratiche” stanno davvero a zero - il “programma della troika” che Bersani (e ancor più Renzi, ovviamente) hanno fissato come dato già acquisito e intangibile.

Rifondazione Comunista e una serie di “appelli” (“arancione”, la tramontante e ondivaga Alba, ecc) puntano invece a una coalizione alternativa, capace di portare almeno a superare lo sbarramento e che garantisca un “diritto di tribuna”. Il problema, per noi, non è se una piccola pattuglia possa stare o no in Parlamento, ma: quale “discorso politico” e programmatico e quali soluzioni concrete vengono presentate a una classe disgregata, impaurita, sottoposta a ricatti d'ogni genere e ogni giorno?

 

Fonte: contropiano.org

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