di Daniela Preziosi

 

"Di dele­ghe in bianco noi non ne daremo. Se vogliamo discu­tere di come rifor­mare le regole del lavoro, noi ci siamo. Ma se la delega al governo deve essere un modo sur­ret­ti­zio di can­cel­lare l’art.18, noi non ci saremo. Si può imma­gi­nare un con­tratto a tutele cre­scenti, ma per cre­scere le tutele devono esserci". Il depu­tato Alfredo D’Attorre, rifor­mi­sta già ber­sa­niano fra i meno cor­diali con Mat­teo Renzi (per dire: uno che sta attento a nomi­narlo sem­pre per cognome), pre­para le bar­ri­cate sull’emendamento all’art.4 della delega sul lavoro che ieri il governo ha pre­sen­tato al senato sul con­tratto a tutele cre­scenti. Oggi il primo voto in com­mis­sione al senato e, c’è da scom­met­terci, le prime distin­zioni interne al Pd.

Nella pro­po­sta in realtà non si fa rife­ri­mento alla modi­fica dell’art.18 dello sta­tuto dei lavo­ra­tori, ma la delega avrà maglie così lar­ghe che l’ex mini­stro ber­lu­sco­niano Sac­coni può sere­na­mente gri­dare vit­to­ria per l’abolizione pros­sima ven­tura dell’ultimo tabù dei diritti dei lavo­ra­tori. D’Attorre prova a negare: "Ma non mi pare che possa essere così: solo qual­che giorno fa Renzi invo­cava il ’modello tede­sco’, che non è certo quello del licen­zia­mento facile. Capi­sco che con i ritmi ren­ziani sette giorni sono un secolo, ma in fondo era solo una set­ti­mana fa".

Il com­pa­gno di cor­rente Ste­fano Fas­sina invece è molto più pes­si­mi­sta. Di buon mat­tino scrive su face­book: "Per one­stà intel­let­tuale, dob­biamo rico­no­scere che Sac­coni ha ragione: l’emendamento pro­po­sto dal governo con­tiene tutte le ricette della destra, ago­gnate per anni e argi­nate finan­che durante il governo Monti, in con­di­zioni poli­ti­che molto meno favo­re­voli di oggi". A sera incon­tra il mini­stro in un con­fronto tv su La7. Scon­tro duro, umore pes­simo. La nuova «sin­to­nia» fra Renzi e Ber­lu­sconi è solo la cilie­gia sulla torta avve­le­nata. Parole pesanti sull’atto del governo del suo segre­ta­rio: «Nes­suna eli­mi­na­zione delle forme con­trat­tuali pre­ca­rie; can­cel­la­zione del rein­te­gro del lavo­ra­tore in caso di licen­zia­mento ingiu­sto e ingiu­sti­fi­cato; deman­sio­na­mento; eli­mi­na­zione dei vin­coli per i con­trolli a distanza sulle per­sone che lavo­rano e nes­suna risorsa aggiun­tiva per uni­ver­sa­liz­zare l’indennità di disoc­cu­pa­zione. In più, dele­ghe in bianco per riscri­vere l’intera nor­ma­tiva sul lavoro.

Tutto fina­liz­zato a un ulte­riore inde­bo­li­mento della capa­cità nego­ziale dei lavo­ra­tori e lavo­ra­trici per ridurre le retri­bu­zioni e insi­stere su un’impossibile com­pe­ti­zione di costo». Ergo: "È una linea oppo­sta a quella sulla quale i par­la­men­tari del Pd sono stati eletti e è anche oppo­sta al pro­gramma con­gres­suale e di governo di Renzi. È una linea inac­cet­ta­bile". Con­clu­sione: "Noi andiamo fino in fondo, sta­volta. Ma non dipende solo da noi, dipende da quello che suc­cede fuori". ’Fuori’ signi­fica fuori dal palazzo. O, meglio, nelle stanze di Corso d’Italia dove ieri era riu­nito il diret­tivo della Cgil.

Certo dai tre milioni del Circo Mas­simo del 2002 sono pas­sati dieci anni, ma sem­bra un secolo. Ser­gio Cof­fe­rati oggi, da euro­de­pu­tato, come allora, da segre­ta­rio Cgil, si schiera con­tro i licen­zia­menti facili: «Un grave errore poli­tico». Intanto la sini­stra Pd è in stato di mas­sima allerta. C’è chi non ci può cre­dere, chi lo sa ma finge di non saperlo, chi esclude, chi paventa, chi avverte. In realtà tutti sanno che Renzi ha deciso di por­tare in Europa lo scalpo dell’art.18, che è come dire lo scalpo della (resi­dua) sini­stra italiana.

D’Attorre e Fas­sina hanno chie­sto e otte­nuto da Renzi una dire­zione tutta dedi­cata alla legge di sta­bi­lità e a quella sul lavoro. Sarà i primi di otto­bre: si discu­terà, si liti­gherà e alla fine si voterà. La sini­stra interna verrà, come al solito, asfal­tata in diretta strea­ming. E sarà costretta a ade­guarsi alla deci­sione della (stra­grande) mag­gio­ranza. Il premier-segretario non può chie­dere di meglio. Se Fas­sina andrà «fino in fondo", anche Pippo Civati non ha dubbi su quello che farà: "Sono stato eletto per difen­dere i diritti dei lavo­ra­tori, non per toglierli, come peral­tro è stato già fatto». L’area di Civati è l’unica a non essere stata coop­tata nella nuova segre­te­ria "uni­ta­ria", nella ver­sione ren­ziana, "plu­rale" in quella cuper­liana, "lo staff di Renzi allar­gato a qual­cuno che non lo ha votato al con­gresso" secondo D’Attorre.

Fatto sta che Civati in que­sti mesi è sot­to­po­sto al pres­sing di Sel. Il par­tito di Ven­dola pre­para la piazza per il 4 otto­bre a Roma: un appun­ta­mento "«con­tro il con­for­mi­smo ren­ziano, con chi ci sta, senza chie­dere abiure o abban­doni di par­tito", spiega Mas­si­mi­liano Sme­ri­glio, capo dell’organizzazione ven­do­liana e numero due di Zin­ga­retti alla regione Lazio. L’obiettivo, più o meno espli­cito, è lan­ciare un’associazione "su cui costruire un pro­filo pro­gram­ma­tico, una carta dei valori, una lea­de­ship plu­rale", "una nuova avven­tura per costruire una cul­tura di governo alter­na­tiva, una sfida al Pd sull’innovazione". Insomma, una "cosa" a sini­stra, un’altra, oltre la lista Tsi­pras, che in Europa va ma nel cor­tile di casa rischia di ritro­varsi divisa già alle pros­sime regio­nali della Cala­bria e dell’Emilia Romagna.

L’iniziativa di Sel, che anti­cipa di pochi giorni la mani­fe­sta­zione delle tute blu, potrebbe essere il cal­cio di avvio della par­tita dell’autunno. E rac­co­gliere il mal­con­tento — ammesso che ve ne sia — sulla defi­ni­tiva can­cel­la­zione dell’art.18. E l’eventuale con­trac­colpo den­tro la ’pan­cia’ del par­tito demo­cra­tico. Non è un caso che a salire sul palco, con Nichi Ven­dola e Mau­ri­zio Lan­dini, sono stati invi­tati anche Civati e Fassina.

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