di Leo Lancari

 

Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha firmato ieri sera il decreto salva-Ilva. Una firma attesa e prevista, specie dopo l'incontro con cui, nelle scorse settimane, il premier Mario Monti aveva avuto proprio con il capo dello Stato per mettere a punto la strategia da seguire per uscire dalla drammatica situazione creata a Taranto dall'azienda senza ledere i poteri della magistratura. Una questione, quest'ultima, che il decreto varato venerdì scorso da palazzo Chigi non sembra però aver risolto, al punto che la firma messa ieri da Napolitano in calce al provvedimento potrebbe essere il primo atto di uno scontro istituzionale. L'ennesimo - dopo quello con i pm di Palermo - che il Quirinale apre nei confronti di una procura e dei suoi magistrati.
Adesso, per sapere cosa accadrà basterà aspettare giovedì prossimo, 6 dicembre, giorno in cui è prevista l'udienza del Riesame che dovrà decidere sul ricorso presentato dall'Ilva contro l'ordine di sequestro del prodotto finito e semilavorato deciso il 26 novembre dal gip Patrizia Todisco.

 

E in quell'occasione il procuratore capo Franco Sebastio e i suoi pm scopriranno le carte, anche se il ricorso alla Corte costituzionale sembra ormai scontato. Per i magistrati pugliesi, il decreto del governo infatti non solo non difende il diritto alla salute, ma mette in discussione le perizie epidemiologiche e chimiche che sono state affrontate nell'incidente probatorio. In procura, comunque, anche ieri vigeva l'ordine del silenzio. «La questione è complicata. Siamo cinque colleghi e stiamo lavorando», sono le uniche parole concesse ai cronisti da Sebastio.
Due sono comunque le strade che potrebbe essere imboccate dalla procura in un eventuale ricorso alla Consulta. Come spiega il costituzionalista Gaetano Azzariti. «Ci sono due profili distinti per cui è possibile che la magistratura ricorra alla Corte costituzionale: da una parte per ragioni di incostituzionalità, cioè per violazione sostanzialmente degli articoli 32 e 41 sul diritto alla salute e sui limiti all'impresa privata - spiega Azzariti -. Ma c'è anche un altro profilo: quello del conflitto di attribuzione tra poteri. Perché è possibile dire che questo decreto si sia sovrapposto alla funzione dei giudici, in particolare all'ordinanza fatta dalla procura di Taranto».

 

Ed è proprio questo punto, secondo il costituzionalista, il più delicato. «Il governo - prosegue infatti Azzariti - ha fatto il bilanciamento, ha cercato di tenere insieme le esigenze dell'impresa e del lavoro da un lato, con quelle della salute e dell'ambiente dall'altro. Ora, ovviamente, al di là dei politici che in qualche modo hanno le loro certezze, spetterà alla Corte costituzionale dire se questo bilanciamento è corretto o meno».
Tutto questo riguarda però il futuro. Ieri è stata ancora una giornata in cui si è attesa la firma del presidente della repubblica. Nel frattempo continuano ad arrivare pareri negativi sul provvedimento. Dopo il giudizio duro espresso dall'Associazione nazionale magistrati, ieri anche il pubblico ministero di Milano Antonio Spataro si è detto convinto dell'incostituzionalità del provvedimento. «Con il decreto legge è stato messo in discussione il primato del diritto alla salute su quello del diritto al lavoro» ha detto il magistrato, per il quale «siamo all'interferenza del potere legislativo nei confronti del potere giudiziario».

 

Intanto, a dimostrazione di come Taranto sia una città spaccata, ieri il comitato «Cittadini e lavoratori liberi e pensanti» ha attaccato il decreto salva-Ilva. «Un decreto illegale - ha spiegato il comitato - che richiede all'Ilva di adottare disposizioni di un aggiornamento illegale di un'Aia illegale. Attuare l'Aia - ha proseguito - non dimostrerebbe che la situazione di pericolosità degli impianti sia venuta mano. Per questo motivo non è possibile continuare da subito l'attività produttiva ma è necessario prima realizzare gli interventi di adeguamento degli impianti indispensabili per garantire la tutela dell'incolumità dei lavoratori e della popolazione locale e l'interruzione dell'attività criminosa per la quale proprietà e management dell'Ilva sono agli arresti».

 

Fonte: il manifesto

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