Vincent Lindon è un operaio in lotta con decine di compagni per salvare il posto di lavoro.La multinazionale vuole chiudere e riaprire altrove:la loro sede non è abbastanza "competitiva" (cioè redditizia, ma mai chiamare le cose col loro nome, la prima arma del potere è la parola). Non importa se 1.100 salariti resteranno a spasso. Non importa se lavorando sottocosto due anni, per "solidarietà" col gruppo che in cambio prometteva di non chiudere, hanno regalato 12 milioni di euro all'azienda.Gli azionisti vengono prima. Intanto l'Eliseo li sostiene,ma solo moralmente. Il Presidente di Confindustria li fa sgombrare con la forza. La tv mostra la loro rabbia, ma non ciò che l'ha scatenata. E tra i lavoratori in sciopero si aprono le prime crepe. Qualcuno non ci crede più.Qualcuno tratta buoneuscite sottobanco. Iniziano gli insulti, gli attacchi personali, le insinuazioni.
Tutto noto, tutto tragicamente vero e familiare, ma mai rappresentato con più intensità.E con tanta aderenza psicosomatica. Niente ideologia o sociologia.Drammaturgia al minimo.Tutto è scontro:diretto, frontale, fatale (con le musiche bellissime di Bertrand Blessing). A urlare è il linguaggio del corpo: facce,pose,gesti, Voci flautate, mascelle contratte,sguardi sfuggenti.Il sincero stupore dei dirigenti davanti agli operai che proprio non vogliono capire.La sublime faccia tosta del padrone tedesco che dice di amare molto la Francia ("vado ogni volta che posso in Camargue...").
Tutto perfetto, grazie a uno straordinario cast di non professionisti. Un grande film politico proprio perchè non giudica. Guarda.
Una sintentica e bella recenzione di Fabio Ferzetti su L'Espresso.

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