di Simone Nardelli tratto da realumbria.it

 

L’amata rappresentazione del grifo, seppur con caratteristiche e significati lontani da quelli cristologici (Isidoro di Siviglia afferma che Cristo è un leone perché regna ed è potente, ma è aquila perché torna al cielo), fa la sua comparsa a Perugia molti secoli prima della fase comunale medievale.

 

 I signori etruschi della città, come risulta evidente dall’analisi dei reperti provenienti dalle necropoli, si fregiavano spesso del possesso di vasi e urne decorate con il mitico grifone, tradizionalmente correlato al mondo ultraterreno. Una bellissima scena di grifomachia impreziosisce la cassa dell’urna di Arnth Cai Cutu, scoperta a Monteluce nel 1983, quando un terreno in località Madonna del Riccio cedette portando alla luce un’enorme tomba a camera con pianta a croce. Delle cinquanta urne rinvenute, di cui molte stuccate e dipinte, questa è senz’altro la più raffinata e prestigiosa. Il defunto, semidisteso sul coperchio, è rappresentato a torso nudo, con una patera nella mano sinistra e un mantello che ne cela la parte inferiore del corpo. Il particolare del busto scoperto consente di avvicinarlo a modelli eroici prodotti in ambiente attico. Stupiscono l’efficace resa volumetrica, il modellato del volto e le tracce di colore che ancora oggi segnano la bocca, gli occhi e l’elegante capigliatura. La cassa, decorata agli angoli da patere e protomi leonine, presenta al centro una scena a bassorilievo su fondo rosso che raffigura un uomo armato di lancia in lotta contro due grifi. 

I guerrieri che affrontano i grifoni, nella tradizione iconografica greca, sono solitamente da identificarsi con gli Arimaspi, mitici monocoli abitanti delle regioni settentrionali della Scizia, che contendevano alle belve alate il possesso di un tesoro d’oro. In Etruria il tema appare in stretta connessione con il mondo funerario e infatti, anche nel nostro caso, occupa il pannello frontale di un’urna cineraria. Qui, a combattere contro i grifi, non è però un vero e proprio Arimaspo “alla greca”, ma un guerriero raffigurato in una nudità eroica, nella variante iconografica tipica della cultura etrusco-italica, dotato di entrambi gli occhi e ovviamente privo delle vesti orientali che contraddistinguono gli Sciti. Nonostante vi siano molte versioni della leggenda (sia greche che romane), tutte concordano comunque sul legame con l’oro e le divinità solari (Apollo in particolare) e sulla collocazione geografica delle vicende ai margini del mondo conosciuto. A contatto con gli dèi dunque, in prossimità di un limite invalicabile protetto da esseri mostruosi. Forse in questa scena si dovrebbe leggere qualche riferimento al viaggio nell’aldilà dello stesso defunto, simboleggiato da un guerriero impegnato a combattere contro due mostri liminali rampanti, che si stagliano minacciosi sul fondo rosso sangue; c’è anche il chiaro rimando all’oro, correlato alla ricchezza e al benessere terreno e ultraterreno di Arnth, quindi marcatore di status. 

Al di là delle possibili interpretazioni del bassorilievo, siamo di fronte a un reperto dal valore inestimabile, che merita senza ombra di dubbio di essere osservato da vicino, accostandosi il più possibile alla teca che lo contiene, posta accanto alla ricostruzione della tomba realizzata presso il Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria. Se qualsiasi turista rimane sbigottito di fronte all’urna, figurarsi un perugino, che ritrova il grifo in uno straordinario reperto risalente a più di duemila anni fa. E l’emozione si capisce: qui abbiamo un nostro lontano antenato rappresentato come un eroe, i grifoni su fondo rosso vivo e persino due protomi leonine.

Si tratta solo di una coincidenza? Certamente, direbbero storici ed archeologi, a ragion veduta. Ma noi, che amiamo Perugia, vogliamo illuderci che non sia così, convinti che il grifo abbia da sempre, in qualche modo, fatto parte della città.

 

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