La lunga settimana dell’emergenza maltempo sembrava aver seppellito sotto una coltre di neve anche la vertenza della Faber, ma il disgelo ha nuovamente scoperto tutte le macerie sociali che l’azienda è in procinto di lasciare sul disastroso campo di battaglia dell’economia del nostro territorio.
Quanto sta emergendo dall’esito degli incontri tra l’azienda e le organizzazioni sindacali conferma infatti tutte le nostre preoccupazioni. La multinazionale svizzera è ferma e sostanzialmente incontrastata nelle sue decisioni mentre un sindacato arresosi pressoché immediatamente tratta solo la sconfitta, provando a strappare il massimo per le indennità di licenziamento e rimandando a futuribili scenari di reindustrializzazione per realizzare i quali si continua a chiamare in causa solo la Regione, continuando a non scomodare chi al contrario ha per primo l’obbligo di contrastare la crisi dell’economia reale, impedire la fuga delle imprese all’estero e mettere in campo azioni per la riconversione industriale: il governo, ancorché di concerto con le istituzioni periferiche e le forze economiche e sociali.

Ad oggi non vi è infatti stato alcun segnale di attenzione e di impegno sulla nuova emergenza economica del nostro territorio e non è ancora dato sapere quali siano state e se vi siano state le risposte del Ministero dello sviluppo economico alle varie interrogazioni parlamentari inoltrate per la verità quasi come un atto stancamente burocratico. Supponiamo così che per tutte valga quanto il premier Monti ha detto proprio in quei giorni sul lavoro dei giovani e dei meno giovani: se per i “tecnici” del governo liberista il posto fisso è noia e monotonia, va da sé che anche gli operai della Faber non possono aspettarsi da esso null’altro di un disinteresse comunque tifoso del primato del profitto senza se e senza ma e del mercato libero da ogni lacciolo politico e democratico, geografico o sociale, da ogni vincolo di interesse nazionale e collettivo, rispettoso solo della sovranità della competizione internazionale tutta giocata sul costo del lavoro e sulla pelle di chi lavora.

Un disinteresse che nella falsa coscienza di questi signori avrebbe addirittura la capacità catartica di liberare le lavoratrici ed i lavoratori dai noiosi gioghi del posto fisso. Si metta dunque l’anima in pace Primo Bellucci, quell’operaio della Faber nelle cui parole abbiamo orgogliosamente ritrovato le nostre e che si è rimesso noiosamente a lottare per un posto di lavoro dopo 37 anni passati a sgobbare nello stabilimento di Fossato di Vico: crediamo che la sua vita non sia stata così monotona e “privilegiata”, anche se oggi, alla luce delle parole di Monti, dovrà “tecnicamente” ritenersi uno baciato dalla fortuna, almeno rispetto a tutti gli altri i suoi colleghi più giovani che con la chiusura dell’opificio umbro sono invece destinati alla miglior sorte di rimettersi in gioco e di sperimentare come si ci si possa sentire più liberi e meno annoiati nell’improbabile ricerca di una nuova occupazione, meno stabile e più incerta e pertanto meno alienante.

E’ dunque in questo contesto, per questa temperie innanzitutto ideologica, e per la conseguente assenza del governo che nasce l’arrendevolezza sull’irreversibilità delle scelte di un’azienda che chiude da un giorno all’altro una fabbrica non perché essa sia in crisi di produttività e non produca più utili ma perché le stesse produzioni in un altro contesto le consentiranno margini superiori di profitto. L’accordo su licenziamenti e cassa integrazione che prima o poi, in ogni caso, si chiuderà sarà un’altra sconfitta sindacale senza prima aver ingaggiato una vera battaglia e sarà un’altra sconfitta sonora per il mondo del lavoro, un mondo non impersonale come quello dei mercati panteisti, ma fatto di vite umane e di famiglie, anima, carne e sangue, lanciate al massacro sociale.

Nel quadro della trattativa tra azienda e sindacati, anche per quanto riguarda la sorte della parte più piccola di lavoratrici e di lavoratori che dovrebbero essere reintegrati a Sassoferrato, non vi è nessun piano industriale che possa far saggiare la volontà della multinazionale di investire su ricerca ed innovazione: e con ciò la storia è già scritta, si allungherà solo l’agonia anche per lo stabilimento marchigiano.
La vertenza scivola dunque via con un esito già certificato, senza che nessuno abbia ancora osato pretendere garanzie di maggiori investimenti, senza aver per esempio messo sul tavolo la questione di tutte le risorse pubbliche fin qui eventualmente percepite dalla multinazionale e senza aver neanche timidamente minacciato il ricorso ad azioni eclatanti di disturbo come può essere il boicottaggio da agire a livello nazionale dei prodotti della Franke, sul modello dell’OMSA, stante la sua decisione di andarsene dal nostro Paese dopo averne assorbito e consumato conoscenze produttive e patrimoni industriali.

C’è anche chi in questi giorni ha sottolineato l’assenza di una legislazione economica contro le delocalizzazioni. Bene, siamo d’accordo ma i piagnistei, a partire da quelli di parte sindacale, sono i benvenuti purché intellettualmente onesti e solo se si fa buon uso della memoria. Giace tuttora indiscussa nel consiglio regionale dell’Umbria una proposta di legge avanzata dal PRC che va ripresa, eventualmente migliorata ed opportunamente approvata, per quanto sia stata rigettata in fretta e furia dai tanti soloni delle riforme altrimenti bipartizan contro il lavoro con la solita accusa di dirigismo economico: eppure non era ispirata da velleità collettivistiche, ma da un più semplice ed elementare buon senso; se un’azienda decide di delocalizzare, restituisca almeno i soldi pubblici che negli anni ha percepito così come un’azienda che delocalizza in tutto o in parte le sue produzioni non ha diritto a percepirne.

Dopo il consiglio provinciale sulla questione Faber voluto dal PRC, la convocazione di un consiglio comunale aperto a Fossato di Vico sulla crisi della fascia appenninica va nella direzione della mobilitazione territoriale da noi immediatamente sollecitata di fronte all’ennesima sciagura economica verificatasi in questo lembo d’Umbria. Come nell’averlo proposto, l’auspicio che facciamo nel definire gli obiettivi di questo consiglio comunale è che esso diventi il primo momento di un processo che può servire a risvegliare e mettere insieme le coscienze e a far vivere un'alternativa allo stato di cose presente che parte dalla carne viva anche se ferita di un territorio martoriato ma caparbio, lucido, capace di far valere le proprie ragioni, non rassegnato a vivere di cassa integrazione e determinato a non soccombere sotto i colpi della crisi, della globalizzazione e della ristrutturazione liberista.

Tutte le vertenze economiche ed aziendali della dorsale appenninica si devono saldare in un'unica grande vertenza di questo territorio: le istituzioni e le forze politiche e sociali di questo territorio debbono saper parlare con una voce sola, pretendere un incontro urgente con il ministro dello sviluppo economico Passera per ottenere lo sblocco immediato e l'ulteriore integrazione delle risorse dell'accordo di programma previsto per la Merloni, la definizione di un progetto per la reindustrializzazione di questo territorio e per il sostegno alle aziende in crisi, per scongiurare altre chiusure. Parimenti, è giunta abbondantemente l'ora per cui al cospetto di questa crisi, si debbano riconsiderare anche alcune delle politiche e degli interventi della Regione, a partire da quelle programmazioni già dotate di finanziamento, che possono servire a ridirezionare più decisamente il modello di sviluppo dell'economia del nostro territorio verso ambiente, cultura e turismo, verso le iniziative di green economy che attendono tuttora delle risposte e verso una formazione necessariamente più adeguata ad intercettare le offerte di lavoro, il riorientamento professionale, l'inclusione sociale e il sostegno al reddito.

Un’unica grande vertenza di questo territorio, dicevamo, che si ponga come obiettivo e pretenda come precondizione assoluta l’intervento del governo nazionale sia nello specifico della vertenza Faber per impedire la chiusura dello stabilimento di Fossato di Vico sia negli auspicabili percorsi di reindustrializzazione e riconversione ecologica dell’economia locale: il consiglio comunale aperto di Fossato di Vico avrà una sua utilità concreta solo se a sua conclusione si pretenderà un insieme di impegni e di misure concrete, tangibili e temporalmente definite di politica industriale, economica e sociale da parte del governo in primo luogo e di tutti gli altri soggetti che sono in potere ed in dovere di predisporle.

Non sobbalzino dalle loro sedie i liberali a giorni alterni, i liberisti a cottimo o i “riformisti” bipartigiani d’ogni stagione, per ogni inciucio e da ogni latitudine politica essi provengano: la richiesta “interventista” che avanziamo, un’alternativa al laissez-faire e all’inerzia politica e di governo nella crisi dell’economia reale troverebbe conferma anche tra i padri fondatori del pensiero liberale moderno e così tutti costoro, anche dalle nostre parti, potranno sentirsi, se in buona fede, a loro agio, del tutto in linea con le loro convinzioni più o meno di facciata, precarie od inossidabili che siano, vecchie o più recenti, autentiche o di comodo. Prima del consiglio comunale di sabato prossimo, consigliamo loro di rileggersi Alexis de Tocqueville e troveranno conferma delle nostre parole. Non osiamo proporre loro Stuart Mill figlio, gli verrebbe l’orticaria e lo scambierebbero per un pericoloso comunista. Potranno così constatare che l’intervento del governo non si dovrebbe auspicare solo quando c’è da demolire i diritti dei lavoratori e solo se è gamba tesa contro di loro, per il primato del profitto, dell’impresa libera di licenziare e magari incapace di crescere.

Anche nel caso della Faber non ci sembra che l’azienda sia stata così prigioniera dei laccioli che da decenni frenerebbero la crescita economica del Paese e non ci pare che nel dichiarare le decine e decine di “esuberi” sia stata così stregata dal tabù dell’articolo 18, ma tant’è…

Già, dimenticavamo che in Italia le questioni del lavoro sono tutte questioni di tabù: finzioni e propaganda hanno la mamma sempre incinta cosicché anche la realtà diventa un tabù. Peccato che in quest’ultimo tabù vi siano i posti di lavoro, la dignità e la vita delle persone.

Per la sinistra per Gualdo
Gianluca Graciolini


 

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