di Andrea Fabozzi

"A mag­gio met­te­remo la parola fine a que­sta discus­sione". Ma anche "por­te­remo la legge in aula entro il 27 aprile". Sono le due indi­ca­zioni tem­po­rali con le quali Mat­teo Renzi chiude la sua rela­zione alla dire­zione del Pd. E chiude ogni spa­zio alla mino­ranza interna e alle richie­ste di modi­fi­care l’Italicum. Nes­suna cor­re­zione, per­ché tor­nare al senato sarebbe "un azzardo". E niente indugi in com­mis­sione affari costi­tu­zio­nali, dove pro­prio oggi l’ufficio di pre­si­denza deve sta­bi­lire il calen­da­rio delle pros­sime set­ti­mane. Per farsi spa­zio, la legge elet­to­rale dovrà ancora una volta supe­rare quella sul con­flitto di inte­ressi (rin­viata dall’aula in com­mis­sione).

Ma le tre set­ti­mane utili che ci sono da dopo pasqua a fine mese potreb­bero non bastare. Soprat­tutto per­ché in com­mis­sione i con­trari all’Italicum sono in netta mag­gio­ranza, e hanno poco inte­resse a cor­rere. Si potrebbe ripro­porre la situa­zione già vis­suta sulle riforme costi­tu­zio­nali, quando la mino­ranza Pd (12 rap­pre­sen­tanti in com­mis­sione sui 23 del par­tito) ha capito di poter fer­mare il dise­gno di legge Renzi-Boschi. Ma, spa­ven­tata dall’opportunità, ha scelto di non farlo. Ha "rin­viato il con­fronto" in aula, dove Renzi non si è con­fron­tato affatto.

Ed ecco allora il dop­pio avver­ti­mento di Renzi al par­tito: rispet­tare la sca­denza del 27 vuol dire met­tere in conto di arri­vare in aula senza chiu­dere l’esame in com­mis­sione. Trat­tan­dosi di una legge fon­da­men­tale come quella elet­to­rale sem­bre­rebbe un eccesso, non fosse che nel pas­sag­gio al senato è acca­duto lo stesso. E poi le parole sulla fidu­cia: "Ne par­le­remo", ha detto il pre­si­dente del Con­si­glio. L’ipotesi non è esclusa, ma non signi­fica che Renzi abbia deciso di porla sulla legge elet­to­rale. Non certo per un rispetto delle forme — ieri il suo omag­gio alla "cen­tra­lità del par­la­mento" aveva il tono del necro­lo­gio — ma per­ché il pre­mier sa che l’Italicum può con­tare sull’appoggio discreto di circa un terzo del gruppo di Forza Ita­lia (i seguaci di Ver­dini) e dun­que sarebbe inu­tile se non con­tro­pro­du­cente richia­mare la fedeltà di governo. "La fidu­cia la metto tra di noi", dice il pre­mier: è quello che fa da un anno quando minac­cia soprat­tutto i suoi con le ele­zioni anticipate.

Pro­prio sul voto segreto si svolge una parte della rissa tra Renzi e il ber­sa­niano D’Attorre, accu­sato di essere un ricat­ta­tore per aver minac­ciato "esiti impre­ve­di­bili in aula". Il rego­la­mento della camera (arti­colo 49) lo pre­vede sugli arti­coli della legge elet­to­rale, sem­pre che ne fac­ciano richie­sta venti depu­tati. Ma dal voto segreto, in defi­ni­tiva, Renzi potrebbe gua­da­gnare qual­cosa tra i depu­tati ber­lu­sco­niani in con­fu­sione. In ogni caso, sep­pure la dis­si­denza nel par­tito demo­cra­tico rag­giun­gesse il punto più alto fin qui toc­cato alla camera, che è quello del non voto al Jobs act a novem­bre scorso (38 voti man­canti su 308), i numeri a Mon­te­ci­to­rio sono tali che la legge elet­to­rale in aula non rischia nulla.

Diverso il discorso, abbiamo visto, in com­mis­sione. E diverso ancora al senato, dove i 24 voti del Pd che a gen­naio man­ca­rono all’Italicum non furono deci­sivi solo per­ché all’epoca il patto del Naza­reno era ancora uffi­cial­mente valido. Per la mino­ranza Pd, allora, si trat­te­rebbe di con­durre al senato e sulla riforma costi­tu­zio­nale quella "guerra di movi­mento" sug­ge­rita da D’Alema. Non per nulla Renzi ha comin­ciato a far cir­co­lare la voce che qual­cosa, magari, si può ancora cam­biare. Pec­cato che pochis­simo sia ormai modi­fi­ca­bile pro­prio per­ché nel pre­ce­dente pas­sag­gio alla camera il governo ha impo­sto la blin­da­tura di quasi tutti gli arti­coli della legge, diven­tati defi­ni­tivi dopo due let­ture con­formi. Le cose stanno così e la riforma costi­tu­zio­nale a que­sto punto è più facile boc­ciarla che correggerla.

La dire­zione offre un anti­cipo della pro­pa­ganda che accom­pa­gnerà l’Italicum nei pros­simi due mesi. Renzi insi­ste a chia­mare "can­di­dati di col­le­gio" i capo­li­sta bloc­cati che di col­legi ne avranno una decina a testa. Per fare i cal­coli sugli eletti con le pre­fe­renze anti­cipa le deci­sioni del suo par­tito (non faremo plu­ri­can­di­da­ture) e anche quelle degli avver­sari ("uti­liz­ze­ranno le can­di­da­ture plu­rime in quan­tità indu­striale"). Solo così può addo­me­sti­care le per­cen­tuali e soste­nere che con l’Italicum non ci sarà una mag­gio­ranza di "nomi­nati". Ma tra­la­scia il fatto che affi­dare al capo­li­sta blin­dato l’opzione suc­ces­siva, e dun­que la scelta dell’eletto, non è pro­prio la stessa cosa che far deci­dere gli elet­tori.

Infine, niente da fare nem­meno per la richie­sta di con­sen­tire l’apparentamento al secondo turno: secondo Renzi in que­sto modo si tor­ne­rebbe alle coa­li­zioni e dun­que "pote­vamo restare Ds e Mar­ghe­rita". Il rifiuto com­porta che il pre­mio di mag­gio­ranza effet­tivo sarà assai più alto del 15% dichia­rato, e non esclude affatto la pos­si­bi­lità coa­li­zioni tra­ve­stite da listoni (anzi, con i capo­li­sta bloc­cati si pos­sono pre­miare i pic­coli par­titi che rinun­ciano a osta­co­lare il grande). Ma di que­sto non si parla, piut­to­sto il segre­ta­rio vagheg­gia una prima discus­sione "sul modello di par­tito" e una seconda su "cos’è oggi la sini­stra". Il voto una­nime che chiude la dire­zione sug­ge­ri­sce già qual­che spunto.

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