di Isabella Rossi

Spegnere l’odio ed evitare rappresaglie tra civili è possibile anche in tempi in cui il vento dell’integralismo soffia implacabile sulle crisi che scaldano gli animi e la sete di giustizia. La vita è bella, verrebbe da dire con Roberto Benigni, e nella tragedia si deve cercare anche lo spazio per la commedia. Soprattutto quando l’unico a poter vincere la stupidità è il buon senso.

Troppi morti hanno seppellito le donne di un paesino sperduto del Libano per dover continuare a contarli in silenzio. L’isolamento del villaggio, da quella cultura dell’odio che rimbalza dai media, si è rivelato indispensabile alla serena convivenza tra cristiani e musulmani.

Ma il rischio viaggia ad ogni contatto che la piccola comunità riesce ad riagganciare con il mondo esterno. E la vita e la morte finiscono per dipendere dal caso e dall’ingegno, unica barriera alla cecità della ferocia umana sempre latente. In “E ora dove andiamo?”, Nadine Labaki, la regista del fortunato Caramel, uscito nel 2007, racconta con leggerezza un dramma non solo mediorientale. Lo fa in toni epici, con sprazzi di comicità e spunti fiabeschi, e soprattutto impastando speranza ed astuzia come antidoto al cinismo imperante. Non resta che assaggiare.

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