di Isabella Rossi

Perugia - In principio era la danza. O meglio quella primordiale, irrefrenabile voglia di muoversi a tempo che ha portato Virginia Spallarossa a muovere i primi passi ascoltando i dischi di papà. Da allora è passato qualche decennio ma l’incanto continua. Anche grazie a persone ed esperienze disseminate lungo il cammino della danzatrice genovese, venerdì scorso a Perugia protagonista di “Vale tudo intervista a…”, la serie di incontri realizzati dalla Compagnia Deja Donne negli spazi comunali della Sala Cutu.

Prima bimba prodigio reclutata alla Scala. Poi la bocciatura del terzo anno. Inaspettata quanto dolorosa. E, a poca distanza, l’inizio di una nuova avventura alla prestigiosa Académie Princesse Graçe di Montecarlo, dove è passato anche Rudolf Nureyev. E dove la vita di una apprendista ballerina, almeno negli anni ‘70, iniziava alle prime luci dell’alba con il risveglio in una sala condivisa con una quarantina di altre promesse nel seminterrato della residenza stessa. Adolescenti provenienti da tutto il mondo e spinte dalla stessa voglia di sfondare. Ma, ai tempi, il successo passava per lunghe giornate di lavoro. Infinite ore alla sbarra, ma anche dentro le sbarre di una disciplina durissima. E se le privazioni di cibo e libertà avrebbero dovuto forgiare il carattere e levigare il corpo, l’effetto certo era sugli ormoni - riferisce Virginia - fino a ritardare la pubertà al 18esimo anno.

Ma non finiscono qui le memorie di una danzatrice. Fuori dalla rigida accademia, terminata a 17 anni, c’era tutto un mondo. E la scoperta di un corpo capace di essere soggetto, protagonista in ogni sua parte con la Wayne McGregor Random Dance. Da allora incarichi, partecipazioni, insegnamento. Oneri e onori che hanno dato lustro alla carriera e completato la formazione artistica. Fino all’incontro, nel 2007, con i Dejà Donne. “Una svolta”, confida Virginia che da allora ha creato: Stirata con la piega, An ear x a leg, Mostarda e i recenti Ouf, Apollo Living Room e 2:2=1.

Per il resto, vale un po’ tutto, cioè “tutto serve” nell'arte come nella vita. E la narrazione che fa di sé la danzatrice, intervistata da Simone Sandroni (Deja Donne) ne è prova. Luci, ombre, video e ricordi, danza e lacrime. Ma anche sorrisi. Momenti che si proiettano nello spazio scenico della sala perugina tenendo alta l’attenzione del pubblico. Forse perché a legarli è un sottile filo di ironia che rivela, strada facendo, un altro talento di Virigina, abile intrattenitrice, acrobata di memorie con la battuta pronta e un istinto innato, non solo per i tempi della danza ma anche per quelli dello spettacolo. To be Continued?

 

 

Condividi