di Sandro Roazzi

Lʼindustria delle costruzioni continua a interpretare imperterrita il suo ruolo di controtendenza rispetto ai pur timidi passi avanti dellʼeconomia. A gennaio il calo tendenziale della produzione del settore segna un -5,2%, che riporta le costruzioni ai tempi della recessione, da cui non sono mai del resto uscite davvero. In compenso salgono i costi, ulteriore freno al rilancio che pare davvero lontano. Se si pensa che proprio lʼindustria delle costruzioni ha pagato il prezzo più salato alla crisi, soprattutto sul piano occupazionale, non si può non concludere che la politica economica di questi ultimi tempi ha commesso un grave errore nel sottovalutare le criticità di una attività economica che un tempo era un volano di crescita. Con lʼavvento del Governo Renzi, in realtà, si era almeno promesso un piano di interventi contro il degrado delle scuole. Promessa era, promessa è rimasta. Dimenticata. Ha nuociuto anche la breccia liberista nel riformismo, apertasi da tempo con il concorso dei noti ʼsalottiʼʼ alla moda (che andava per la maggiore fino al referendum), che introduceva un vero e proprio stupido rifiuto nei riguardi del valore delle opere pubbliche. Un alibi che alla fine è servito anche per dirottare risorse e attenzioni verso la finanza, il sistema bancario, nonché verso quelle platee disponibili a scambiare consenso con elargizioni della spesa pubblica.
Eppure appariva chiaro che la carenza degli investimenti pubblici (e privati) era uno dei problemi più acuti di una ripresa stentata ed a macchia di leopardo.
Nel frattempo le ragioni che consigliavano di rimettere sotto i riflettori la crisi delle costruzioni si sono moltiplicate: dalla messa in sicurezza del territorio alla conclamata esigenza di por mano ai tanti dissesti presenti in giro per lʼItalia, a cominciare dalle periferie urbane. Un qualche accenno di resipiscenza si è in verità colto nelle ultime dichiarazioni di buona volontà di esponenti politici e di Governo. Del resto in tutto il mondo, anche nella culla del capitalismo, se lo Stato. ..serve, interviene e fa sentire il suo peso. Fino agli estremi di un risorgente protezionismo. E chi non coglie questa perfino banale verità oggi non è un difensore del libero mercato, ma soltanto uno che si comporta da stupido. Ma per ora in Italia le intenzioni, anche quando sembrano cambiare lʼottica del passato, non producono i fatti auspicati. Eppure il rilievo occupazionale, quello di motore dei redditi, ma anche quello di sperimentazione di nuove tecnologie, materiali e tecniche da utilizzare capace di attivare a sua volta nuove opportunità dovrebbero consigliare una diversa e maggiore valorizzazione di questo segmento produttivo.
Servirebbe in questo caso, come in altri, di passare dagli annunci contraddittori e per troppo tempo propagandistici (ricordiamo tutti le cifre iperboliche di miliardi e posti di lavoro promessi invano nel passata) e dal successivo ostracismo, alla elaborazione di una nuova politica industriale delle costruzioni, chiamando a collaborare anche le parti sociali, sempre che abbiano qualcosa da dire. Una prospettiva che finora però latita.
Un ostacolo che complica la situazione rimane quello dellʼintreccio fra opere e corruzione. In tal senso ha ragione chi chiede che, accanto a codici di comportamento pubblici ed imprenditoriali realmente più rigorosi, si metta un punto fermo e si individuino nuove regole chiare e esigibili. Questo si può ottenere, si sostiene ancora opportunamente, dialogando fra Istituzioni, magistrati e corpi intermedi. Una svolta da accompagnare con un monitoraggio alla...tedesca, quello cioè che non si limita ad osservare il procedere dei lavori, ma che interviene per rimuovere nodi burocratici, ritardi, colpe ed ambiguità, come pure lʼaleatorietà dei fondi da mettere in campo.
Lʼennesimo campanello dʼallarme dei dati Istat va preso in seria considerazione. Se così non fosse dovremo constatare il perdurante declino di un settore, invece tuttora importante per lo sviluppo e per la ripresa dellʼeconomia italiana. Un declino che non solo determinerà unʼulteriore distruzione di posti di lavoro, imprenditorialità e professionalità, ma aumenterà il gap con gli altri Paesi. Un lusso che non possiamo permetterci.

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