di Michelangelo Toma - Rassegna.it

 

Negli ultimi sei anni nelle costruzioni si sono persi 800 mila posti di lavoro, c’è stato un calo del 47% degli investimenti in opere pubbliche e si è registrata una pericolosa crescita di lavoro irregolare, nero e di false partite Iva. L’illegalità e le infiltrazioni mafiose negli appalti non solo non vengono contrastate adeguatamente, ma crescono indisturbate e proliferano all’ombra di piccoli e grandi appalti. Al rumore delle inchieste giudiziarie dei grandi cantieri, da Expo2015 di Milano al Mose veneziano, passando per la ricostruzione dell’Aquila ai cantieri dell’Alta Velocità, si aggiunge la sordina su centinaia di piccoli lavori pubblici che spesso non vengono affidati in modo corretto e trasparente. Sono alcune delle ragioni, queste, che spingono il 27 novembre i lavoratori delle costruzioni a mobilitarsi con Feneal Uil, Filca Cisl e Fillea Cgil per richiamare l’attenzione del governo su un settore che resta fondamentale per l’economia del paese, ma che attraversa un momento di difficoltà.

Edilizia indietro di trent’anni 
“Di fronte a questa situazione – commenta Dario Boni, segretario nazionale Fillea e responsabile del comparto edilizia – i governi che si sono succeduti non hanno proposto nulla per rilanciare il settore, che è tornato ai livelli di 30 anni fa. Dal 2008 a oggi si registrano -55 mila imprese iscritte alla cassa edile, - 55% di ore lavorate, - 46% di operai iscritti. In tutto 400.000 posti di lavoro perduti solo nel nostro comparto”. Una crisi senza precedenti e da cui non si può uscire, per la Fillea, “curando una polmonite con l’aspirina”. 

Boni punta il dito verso il governo: “Il bluff regge fino a che le carte sono coperte, ma ora tutto inizia ad essere più chiaro: dei 10 miliardi di investimenti decantati nel cosiddetto ‘Sblocca Italia’, per i prossimi due anni ci sarà meno di 1 miliardo realmente disponibile. Il resto è nel libro dei sogni”. In sintesi, per il sindacalista il problema è chiaro: se sul lato degli investimenti le risorse reali languono, anche le cosiddette riforme a costo zero rischiano di produrre effetti indesiderati. “Tutti gli interventi di sburocratizzazione previsti dagli ultimi provvedimenti adottati dal consiglio dei ministri in realtà allentano la guardia sulla legalità. Ad esempio, il documento unico di regolarità contributiva (Durc) non sarà più richiesto per la singola opera, ma verrà presentato complessivamente dall’azienda. Questo non permetterà di coniugare la regolarità contributiva con la congruità dell’offerta fatta per aggiudicarsi un appalto”. 

Inoltre, sulla spinosa questione degli infortuni e morti sul lavoro non si adotta nessun provvedimento, nonostante il 2014 non si sia ancora concluso e già per numero di vittime e infortuni i casi registrati siano maggiori rispetto al 2013. “Poi mi domando: come si fa a prescindere da una revisione della questione pensionistica del settore? L’esecutivo dovrebbe mettere mano a questo problema che potrebbe diventare presto un’emergenza sociale – conclude il sindacalista –. Nessun intervento serio nel campo dell’edilizia può eludere un fatto: a 75 anni carpentieri e muratori non potranno più salire su ponteggi e impalcature”. 

Lapidei in controtendenza
Il comparto dei lapidei è l’unico che, in controtendenza, è tornato ai livelli pre-crisi, e sono in ulteriore crescita il saldo commerciale (marmo e graniti) e la quota di esportazioni. Ma la crescita nazionale del settore riguarda soprattutto l’estrazione dei blocchi, mentre per la lavorazione si avvertono timidi segnali di ripresa, diventando sempre più urgente la necessità di vincolare l’estrazione dei blocchi alla lavorazione in loco. 
“Per questo motivo, ad una crescita della produzione nazionale non si accompagna un altrettanto evidente sviluppo economico e occupazionale dei distretti produttori ovvero un beneficio distribuito nei territori produttivi”, racconta Salvatore Lo Balbo, segretario nazionale Fillea e responsabile del comparto dei lapidei, che prosegue: “Riguardo all’occupazione, infatti, nel 2013 si stima un calo a livello nazionale del 3,42% e una ulteriore perdita di posti di lavoro nel 2014, anche se in alcuni territori si assiste ad una timida ripresa occupazionale . Tema su cui da tempo si discute per avviare progetti per i rilancio dei distretti”. 

L'altro tema importante riguarda la situazione delle cave e più in generale dell’estrazione dei materiali più in generale. Le imprese in attività sono 10.800 e i lavoratori impiegati oscillano tra i 60-70 mila, mentre qualche anno fa sfioravano le 100 mila unità. La fotografia aggiornata della situazione italiana è impressionante, come leggiamo in un recente rapporto di Legambiente: le cave in funzione sono oltre 5.500, mentre sono circa 17 mila quelle dismesse. “Di sicuro – riprende il sindacalista – la crisi non può essere una scusa per rinviare interventi indispensabili a cancellare condizioni di illegalità, devastazione del territorio e speculazione ai danni di beni comuni. Tutela del paesaggio e dell’ambiente, riduzione del consumo di suolo e riuso dei materiali di scarto dovrebbero essere le linee guida di un governo che si dice riformista. Ma è nella distanza tra le parole e i fatti che si misura l’inadeguatezza di questa classe dirigente”. 

Per Lo Balbo, “la strada da seguire è quella dell’innovazione ambientale: l’unica possibilità di uscita dalla crisi con più lavoro e un diverso rapporto con il territorio e le comunità. Insomma: più innovazione di prodotto e di processo, più lavorazione dei materiali estratti e più riciclaggio. Va in questa direzione la direttiva europea 2008/98 che fissa al 2020 la data per il raggiungimento del recupero del 70 per cento dei materiali inerti, mentre oggi siamo sotto il 10%. Anche la domanda di un mercato sempre più attento alla sostenibilità e tracciabilità dei materiali da costruzione dovrebbero essere una priorità del governo”. Invece la legislazione nazionale in materia risale al 1927 e non si ricordano interventi dei ministeri da decenni sul tema. Quasi tutte le Regioni, che dal 1977 hanno le competenze in materia, non solo stentano a dotarsi di “piani cave”, ma sul fronte delle concessioni sono a dir poco timide.

Laterizi: recessione piena
Recessione piena invece per il settore dei laterizi e manufatti cementizi, sia a livello di produzione che di occupati. Secondo i dati diffusi da Confindustria, il 2013 è stato l’ennesimo anno negativo: si è chiuso con una produzione di 6,35 milioni di tonnellate di laterizi, segnando un ulteriore calo del 15,2% rispetto al 2012. In sintesi, ad oggi si contano 116 imprese e 138 siti produttivi attivi: dal 2007 hanno chiuso i battenti 93 stabilimenti, con una perdita secca di 10 mila posti di lavoro. La ripresa appare ancora lontana e nei prossimi anni, si stima almeno fino al 2016, la produzione si stabilizzerà intorno alle 6 milioni di tonnellate, mentre nel 2008 superava ampiamente quota 20 milioni. 

“Sono numeri che si commentano da sé –spiega Ermira Behri, segretario nazionale Fillea e responsabile del comparto – a cui finora nessun governo ha provato seriamente a porre rimedio. Le misure delle detrazioni fiscali per le ristrutturazioni, ad esempio, scontano non solo la questione dell’incertezza normativa, ma anche il fatto che non sono stabili nel tempo e che ogni anno il rinnovo dei fondi destinati al recupero del patrimonio edilizio dipenda dalla discrezionalità dell’esecutivo di turno, Se le cose non cambiano, il settore si avvia all’estinzione”. Drammatiche, da questo punto di vista, le crisi dei grandi gruppi del settore, tra cui ricordiamo Rdb, Terreal San Marco, Magnetti e Vela. 

Legno e cemento, una mappa della crisi
Ben 56 mila posti persi e 10 mila imprese cessate o fallite: sono questi i numeri di un settore per che per decenni ha rappresentato uno dei punti di maggior forza del Made in Italy, il legno-arredo, che forse, proprio per quella vocazione internazionale, ha in parte potuto limitare la portata della crisi, con un +2,4% di crescita dell’export, a fronte di un trend negativo della domanda interna che per il 2014 è prevista ancora in calo del 3,7%. Da Marinella Meschieri, segretario nazionale Fillea, responsabile dei comparti del legno-arredo e del cemento, un cauto ottimismo: “Per il legno è incoraggiante che, nonostante la previsione, il primo quadrimestre abbia segnato un timido ma inatteso +0.6% delle vendite, e questo grazie agli effetti positivi del bonus mobili. Per il cemento, invece la situazione è drammatica, abbiamo superato la fatidica quota 50%: oggi si produce al 50% della capacità produttiva degli impianti. È evidente che se non riparte l’edilizia e non riaprono i cantieri, la strada della ripresa è sbarrata anche per il cemento e per tutti i materiali da costruzioni”.

Nel frattempo, continua la dirigente della Fillea “in assenza di investimenti e fatti concreti da parte del governo, continuano a chiudere centinaia di imprese, non solo quelle grandi che conquistano le prime pagine dei giornali, ma soprattutto quelle più piccole, che spesso fanno notizia solo nella solitudine delle mura domestiche dei lavoratori coinvolti”. La sindacalista ricorda come il sindacato in tempo di crisi abbia affrontato centinaia di crisi aziendali e trattato migliaia di accordi sindacali per salvaguardare l’occupazione attraverso l’utilizzo di ammortizzatori sociali, svolgendo anche un ruolo di supporto ai consulenti delle imprese. 

“E il governo ci chiede dove eravamo? Eravamo a cercare di salvare migliaia di posti di lavoro! Forse si dovrebbe girare un pochino l’Italia, andare nei territori per capire l’immenso disagio sociale che deriva dalla perdita del posto di lavoro, sia per i lavoratori dipendenti sia per il mondo del lavoro precario – continua Meschieri – al quale abbiamo dato scarse risposte anche perché per legge questi lavoratori non hanno diritto agli ammortizzatori sociali. Oggi il governo pensa di ridurli, questi diritti, anziché estenderli a tutto il mondo del lavoro e poi sostiene che il sindacato non difende i precari: una bella faccia tosta”. 

Anziché criticare il sindacato il governo dovrebbe fare la sua parte, conclude la sindacalista: “Vogliamo parlare dei ritardi del ministero del Lavoro nell’approvare i decreti di cig o i contratti di solidarietà? O delle migliaia di lavoratori che restano per mesi e mesi senza l’integrazione salariale, con tutto quello che comporta nella vita quotidiana delle persone? Faccio un solo esempio: quello delle famiglie dei dipendenti della Linea Legno di Ginestra Fiorentina, che da nove mesi aspettano di ricevere il contributo ministeriale per il contratto di solidarietà. Come loro, sono migliaia i lavoratori che vivono questa condizione di assoluto abbandono e indigenza”. 

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