di Marco Togna

Una buona notizia c’è, ed è il calo della quota dei cantieri edili “non a norma” su quelli ispezionati: era più della metà nel 2007, è scesa al 33,9 per cento nel 2011. Ma come buona notizia è l’unica. E forse lo è solo in parte, visto che il settore delle costruzioni nel quadriennio 2008-2011 ha visto un decremento stimato del 20-30 per cento, che ha quindi presumibilmente “tagliato” la produzione meno qualificata e le imprese meno attrezzate. L'edilizia rimane il settore più critico per la sicurezza sul lavoro: l'ultima conferma ci arriva dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, che il 13 marzo scorso ha approvato la relazione sulle “Attività per la prevenzione nei luoghi di lavoro” di tutti i settori produttivi. A Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano spetta infatti la competenza in materia di sicurezza, che esercitano (tra le altre cose) anche attraverso l’attività di vigilanza svolta dalle Aziende sanitarie locali.

La relazione offre una panoramica di tutte le misure di prevenzione realizzate dagli enti locali nel 2011, in coerenza con gli obiettivi europei e nazionali, in particolare con il “Patto per la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro” (Dpcm 17.12.2007) e il “Piano nazionale della prevenzione 2010-2012”. Tra i successi rivendicati nella relazione il trend costante del calo degli infortuni (dovuto anche “all’azione capillare sul territorio svolta dai servizi delle Asl”), il complessivo raggiungimento fin dal 2007 dei Livelli essenziali di assistenza (Lea), la costituzione in ogni territorio dei Comitati regionali di coordinamento (ossia gli organi che assicurano la programmazione degli interventi di prevenzione), lo sviluppo dei sistemi di sorveglianza sugli infortuni mortali e le malattie professionali (in particolare riguardo agli ex esposti all’amianto), la redazione e la piena operatività dei Piani regionali di prevenzione.

Restano però ancora da sviluppare alcune attività, e qui le conclusioni del documento ne indicano in particolare due. Il primo tema è quello del contrasto all’illegalità, soprattutto per quanto riguarda “la regolarità dei rapporti di lavoro, che introduce un elemento di concorrenza sleale nei confronti delle aziende virtuose”. Il secondo concerne la semplificazione legislativa: per la Conferenza, infatti, occorre rivedere le normative, pur senza ridurre i livelli di tutela, allo scopo di “adeguarle alle piccole e alle micro–imprese che costituiscono la maggior parte del sistema produttivo e che sono state le più colpite dalla crisi economica”.

Il settore delle costruzioni è stato oggetto di uno specifico “Piano nazionale di prevenzione” (conclusosi nell’aprile 2012), importante perché fornisce utili indicazioni per successivi e più mirati interventi. Tra i risultati di carattere generale la relazione indica la programmazione uniforme in ogni Regione delle azioni preventive e di controllo, la formazione diffusa degli operatori delle Asl, la lotta al lavoro nero, lo sviluppo di modelli innovativi di controllo dei cantieri (che utilizzano un’azione preliminare di intelligence del territorio), la realizzazione del portale www.prevenzionecantieri.it, aperto ai contributi delle parti sociali e divenuto punto di riferimento per gli operatori pubblici e privati che si occupano di sicurezza.

Entrando nello specifico, quindi nei numeri e nelle tendenze evidenziate dall’attività di vigilanza, il primo dato che balza agli occhi è quello del lavoro irregolare. I controlli delle Direzioni territoriali del lavoro hanno rilevato il 61 per cento di lavoratori irregolari e il 78 per cento di imprese edili irregolari, con una media di due lavoratori irregolari per ogni azienda. A questo occorre aggiungere che su 54.683 cantieri ispezionati, quelli risultati non a norma sono stati 18.530, praticamente uno su tre. Numeri, dunque, che dicono in modo chiaro come il settore edile sia funestato da irregolarità di varia natura, che influiscono in maniera drammatica anche sul rispetto delle norme di sicurezza.

Il rapporto ci offre anche un dato e una considerazione molto interessanti. Il dato è la riduzione delle sanzioni in materia di sicurezza antinfortunistica: meno 16 per cento secondo il ministero del Lavoro, meno 3 per cento secondo le Regioni. La tipologia di violazione che si presenta con maggiore frequenza riguarda le situazioni che possono provocare cadute dall’alto (che sono, come vedremo, la prima causa di infortunio mortale), i soggetti sanzionati più frequentemente sono le imprese, seguite dai coordinatori. La considerazione, infine, riguarda l’affermazione di un metodo di vigilanza che utilizza un “livello propedeutico di intelligence” utile a programmare interventi mirati secondo obiettivi prestabiliti. Questo metodo, spiega il rapporto, già a regime “per l’attività Inail ai fini dell’identificazione delle aziende a maggior rischio di evasione/elusione/sommerso, è in fase avanzata di sperimentazione per l’attività delle Asl per l’identificazione dei cantieri a maggior rischio presunto di infortunio sul lavoro”.

Una conferma di quanto detto la si ritrova nel dato degli incidenti (riconosciuti dall’Inail, esclusi quelli in itinere). In linea generale, questi sono in diminuzione: erano 81.479 nel 2008, sono poi calati a 70 mila nel 2009 e ulteriormente scesi a 64.794 nel 2010. Un dato, alla prima lettura, in un certo senso “falsato” dalla contrazione strutturale del settore e dal decremento della produzione evidenziato all’inizio. Ma c’è di più, e per scoprirlo basta osservare la quota di infortuni mortali, invalidanti o con prognosi superiore ai 40 giorni. Qui la situazione è radicalmente opposta: erano il 26,5 per cento del totale nel 2008, sono balzati al 27,3 nel 2009, sono ulteriormente cresciuti al 27,7 nel 2010.

Alla diminuzione del numero generale di infortuni, dunque, non corrisponde una parallela diminuzione di quelli gravi o dei decessi, bensì addirittura un aumento. Una mancata proporzione, si legge nel documento, che “suggerisce l’ipotesi che vi sia una progressiva sottonotifica dei casi lievi”, mentre l’aumento percentuale dei casi gravi “giustifica il rilievo dato nei piani di prevenzione a questo settore”.

Sempre riguardo gli incidenti sul lavoro, altre informazioni importanti provengono dal sistema di sorveglianza nazionale degli infortuni mortali Infor.Mo, avviato nel 2002 dall’Ispesl, dalle Regioni e dall’Inail, con il sostegno del Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie del ministero della Salute. Il sistema ricava le proprie informazioni dalle indagini effettuate direttamente sul luogo dell’evento dagli operatori delle Asl, rendendo quindi l’analisi delle cause degli infortuni estremamente precisa. Da Infor.Mo arriva la conferma che la prima causa di incidente mortale dei lavoratori è la caduta dall’alto, evento che accade maggiormente nel settore delle costruzioni (67 per cento), seguito a forte distanza dall’agricoltura (10).

Tra le cause di queste cadute emergono gli sfondamenti di coperture (26 per cento), causati nella gran parte dei casi dall’assenza di protezioni o di percorsi predefiniti, seguono le cadute da ponteggi o impalcature fisse (15), molto spesso dovute a cattivi allestimenti o al mancato utilizzo delle cinture di ancoraggio, e l’impiego improprio di scale portatili (10). La seconda causa è la caduta di carichi dall’alto, e anche questo evento è presente maggiormente in edilizia (49 per cento), seguito dal comparto della fabbricazione di prodotti in metallo (18): il problema principale per questo tipo di infortuni è legato all’errata movimentazione dei carichi (45 per cento), prevalentemente per errori di manovra e utilizzo di elementi non idonei (come imbracature logore o macchinari adibiti ad altro uso).

Fonte: rassegna.it

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