di Francesco Piccioni

Da qualche tempo le palestre e i centri benessere stanno tempestando di sms i loro ex-clienti per riportarli all’ovile. Con offerte imperdibili come «paghi 6 mesi e ne vinci 15, ne paghi 9 e ne vinci 18, ne paghi 12 e ne vinci 36!».

Non è difficile leggere dietro tanta generosità impianti semivuoti, con allegato personale in «esubero». Stesso discorso anche per dietologi e personal trainer. Ma non è che gli italiani abbiano deciso di tenersi la pancia proprio mentre stanno per andare al mare. La pancia viene combattuta riducendo la spesa, rinunciando a piccole e grandi leccornie, un po’ qui un po’ là.

I dati resi noti dall’Istat – ancora una volta grazie al lavoro dei tanti precari anche di alta professionalità che continuano a chiedere una sacrosanta regolarizzazione – sono quasi drammatici. Ad aprile, dice l’istituto centrale di statistica, «l’indice destagionalizzato delle vendite al dettaglio ha segnato una diminuzione congiunturale dell’1,6%». Per chi non ha dimestichezza con la statistica viene precisato che questo indice «incorpora la dinamica sia delle quantità che dei prezzi»; non c’è trucco, non c’è inganno, insomma. In un solo mese abbiamo speso in totale oltre un punto e mezzo.

Ma non è questa la notizia bomba. Arriva un attimo dopo, quando – come si deve – il dato di aprile viene messo a confronto con lo stesso mese dell’anno prima. Qui lo scarto assume dimensioni da «grande depressione». L’indice «grezzo del totale delle vendite» (senza la tara dovuta alla presenza di festività) «segna una caduta del 6,8%.
In effetti stiamo spendendo assai meno per un sacco di cose probabilmente non vitali (-7,1% la spesa non-alimentare), ma certamente stiamo mettendo in tavola molto meno cibo e di minor prezzo: «le vendite di prodotti alimentari diminuiscono del 6,1%». Da quando esiste questo tipo di indice non si era mai registrata una caduta di queste dimensioni. Nemmeno nell’anno orribile della crisi successiva al fallimento di Lehmann Brothers, la quarta banca d’affari del mondo, che aveva gelato l’economia globale dalla fine del 2008 alla metà del 2010.

Questi numeri e i messaggi delle palestre (piscine, ecc) vogliono dire qualcosa di preciso: abbiamo molti meno soldi, cerchiamo di risparmiare su tutto per non intaccare – se possibile – i risparmi. Il perché lo sappiamo, ma l’Istat giustamente lo certifica: «nel mese di maggio l’indice delle retribuzioni contrattuali orarie risulta invariato rispetto al mese precedente e aumenta dell’1,4% rispetto a maggio 2011». Ma questo lievissimo aumento nominale riguarda solo i lavoratori del settore privato, perché gli statali (per il quarto anno consecutivo) non vedono un centesimo in più (anzi: per effetto dell’aumento delle tasse, diversi euro in meno). E andrà certamente peggio con la «controriforma» del mercato del lavoro: un sacco di gente verrà licenziata, la cig durerà meno, la precarietà e i salari da fame saranno la norma. In pratica: i salari sono fermi (per chi non perso il posto di lavoro o non è «esodato» o in cassa integrazione), mentre i prezzi altri dati Istat) viaggiano costantemente sopra il 3% annuo. Sarà anche la «media del pollo», ma è precisa: tot di soldi in meno in tasca, tot di spesa in meno al negozio.

E anche il luogo dove questi pochi soldi si spendono diventa illuminante di una dinamica sociale devastante. La grande distribuzione soffre, ma tutto sommato «tiene»; subisce infatti perdite per il 4,3%, mentre i piccoli esercizi è notte fonda (-8,6%, è un’intera classe sociale che va verso la chiusura e si «proletarizza»).
Significativa, infine, anche la distribuzione tra i vari comparti di questa minore spesa (che solo i votati all’ideologia possono chiamare «propensione al consumo»). In assoluto il taglio più drastico riguarda i prodotti farmaceutici. Si rinuncia a curarsi, soprattutto i più anziani. Ne sarà contento chi – davanti all’aumento delle aspettative di vita – ha storto il naso e «corretto» i conti pubblici congelando gli assegni pensionistici e aumentando l’età del ritiro dal lavoro. «Spontaneamente», per mancanza di valsente, ci stiamo riducendo la vita da soli.

Si scorre la lista dei generi merceologici, ma non si trova un segno «più». Mancano, è vero, i prodotti di lusso. Ma anche per quelli, dicono i concessionari si auto e yacht, sono tempi cupi. Ma per un motivo del tutto diverso: girare col Cayenne attira lo sguardo della guardia di finanza. Meglio ripiegare su qualcosa di meno vistoso. I ricchi non piangono, si nascondono.

Fonte: Il Manifesto
 

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