di Mario Pastrello

Gli gnomi della finanza che stanno speculando sulla possibilità di far crollare l’euro hanno un potente alleato nella Bundesbank. Ogni volta che il suo presidente, Weidmann, interviene si apre una crisi. È successo anche stavolta. Dopo le dichiarazioni di Draghi che indicavano prospettive completamente nuove nell’azione della Bce, le proteste della Bundesbank, che l’ha richiamata al rispetto letterale dei suoi compiti istituzionali, sembravano aver indotto Draghi a fare marcia indietro. Così almeno lo hanno interpretato i mercati. In realtà i mercati sono troppo nervosi, o magari vi sono forze che vi agiscono enfatizzandone le paure e cercando di dissipare il fragile ottimismo.
Ma la situazione è molto meno compromessa di quanto sembri. Anche se le sue dichiarazioni sono apparse più caute di quelle precedenti, la linea di Draghi ha ottenuto via libera dalla maggioranza del consiglio della Bce, con l’eccezione del rappresentante della Bundesbank che, peraltro, è stata esplicitamente indicata come l’oppositore ufficiale della sua linea.
In realtà il problema nasce dal fatto che Draghi non può dire apertamente quello che ha inteso parlando di «qualsiasi mezzo» per salvare l’euro. Ovviamente, in assenza di attacco speculativo, quello che Draghi può fare sono le cose note e permesse: acquisto sul mercato primario con fondi del Fondo di stabilità, Efsf. In secondo luogo, acquisti da parte della Bce di titoli italiani e spagnoli sul mercato secondario. Bisognerebbe, peraltro, ricordare che questi acquisti furono interrotti in marzo, ed è proprio da marzo che si invertì la discesa degli spread, conseguente alla manovra Draghi di dicembre. Ovviamente Draghi non può dire che, se ci fosse un attacco speculativo, interverrebbe come prestatore di ultima istanza, come aveva fatto intendere. Difficilmente potrà dirlo; potrà, eventualmente, farlo. Anche le dichiarazioni di Monti che non richiederà l’intervento della Bce non sono altro che una ragionevole scommessa sul vero significato della linea di Draghi. Se è vero che Draghi interverrà come prestatore di ultima istanza in caso di attacco, questo allontana la probabilità dell’attacco e, contemporaneamente, la sgraditissima ipotesi che il governo italiano debba richiedere l’intervento della Bce, con tutto quello che segue, come sanno Irlanda, Portogallo Grecia e, forse domani, la stessa Spagna.
D’altra parte la Merkel ha dato alcuni giorni fa un assenso difficilmente revocabile alla linea Draghi il quale, nello stesso discorso del «qualsiasi mezzo», aveva comunque sottolineato che il progresso nel controllo dei deficit e nelle riforme va avanti e non deve rallentare. Queste oscillazioni sono dovute al fatto che il problema ha un doppio aspetto, uno monetario e uno, per così di dire, di condizionalità; cioè, che se è vero che va salvato l’euro, siccome contestualmente si salvano i debiti sovrani dei paesi attaccati allora, secondo Germania e Bruxelles, questi paesi devono sottomettersi a pesanti condizioni per ottenere l’aiuto.
Lo scopo del bombardamento Bundesbank sembra quindi essere stato piuttosto quello di ottenere che Draghi sottolineasse l’aspetto di condizionalità legato all’intervento della Bce. Peraltro lui stesso, in un’intervista al Wall Street Journal, aveva enunciato una strategia di «compressione sociale» per l’Europa: riduzione dello stato sociale e del potere contrattuale dei lavoratori, che è quella messa in atto attraverso il fiscal compact e le riforme imposte. Ma questa strategia è stata messa in pericolo dall’ostinazione tedesca a non voler affrontare la crisi valutaria con strumenti monetari. Perché, anche se sotto attacco erano i debiti pubblici di alcuni stati europei, in gioco non c’erano solo le loro politiche fiscali. In gioco c’è l’euro come moneta unica, messa sotto attacco sui mercati finanziari mondiali Non volerne prendere atto rischiava l’implosione della zona euro. Da cui l’intervento straordinario di Draghi che ha raccolto anche la preoccupazione americana che l’euro implodesse alla vigilia delle elezioni presidenziali. Ma bisogna anche ricordare che il ministro del Tesoro Usa, Geithner, non ha detto alla stampa che gli preme che la crisi dell’euro venga evitata, bensì che resti «dormiente» fino alle elezioni Usa. Poi si vedrà.
Non dobbiamo farci illusioni. L’obiettivo di Draghi è la messa in sicurezza della strategia di «compressione sociale» da lui stesso enunciata. È la minaccia di attacco diretto al debito italiano che rafforza la linea dell’austerità del governo Monti. Eppure, lo stesso obbligo assunto da Draghi di salvataggio dell’euro come tale aprirebbe spazi all’azione della sinistra, se ne fosse capace, per un deciso riequilibrio dei sacrifici.

Fonte: Il Manifesto

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