di Antonio Maglie

A Roma è esplosa una nuova guerra tra le due sponde del Tevere. Sia chiaro: non è che i bersaglieri abbiano occupato il colonnato del Bernini concedendosi il bis della breccia di Porta Pia; né che la Guardia di finanza abbia fatto irruzione nella tesoreria vaticana per conteggiare gli arretrati dell’Ici. La ‘guerra’ riguarda un potere squisitamente temporale e decisamente più piccino: il Coni. Il presidente, Giovanni Malagò, un tempo considerato un esponente tra i più cristallini della ‘piacioneria’ romana (quelli che vanno bene tanto a destra quanto a sinistra perché di belle parole e ottimo aspetto), fatica a entrare in sintonia con i nuovi ‘padroni’ della politica.
L’altro giorno ha sferrato un attacco senza precedenti al sottosegretario Giancarlo Giorgetti. Motivo del contendere: la riforma dello sport. Roba grossa, direbbe il lettore, semmai incuriosito dalla rotondità retorica delle parole. In realtà, è roba di bassa cucina, gestione dei quattrini perché una vera riforma comporterebbe un qualche tipo di rapporto con altre riforme (dell’istruzione, del sistema sanitario considerati i costi sociali che nel tempo possono derivare dagli oltre 23 milioni di sedentari e anche da un malsano invecchiamento della popolazione).
La questione è in questi termini: oggi lo Stato mette nelle mani del presidente del Coni un discreto gruzzolo, che poi il Lider Maximo distribuisce alle varie federazioni. Un potere mica da ridere, soprattutto se sei sistemato al vertice di una piramide che conta 65mila società, quattro milioni e mezzo di atleti e un milione e mezzo di operatori.

Dal 2020 cambia tutto: lo Stato darà 40 milioni al Coni che provvederà così alla preparazione olimpica e i quattrini alle Federazioni verranno distribuiti dal nascente comitato “Sport e Salute” evidentemente ispirato dal governo. Messa così si potrebbe anche pensar male: quali criteri orienteranno il comitato? Non è che saranno premiate le federazioni di stretto rito governativo, mentre quelle dissidenti verranno messe da parte? Se così fosse, avremmo la cannibalizzazione dello sport da parte della politica, film già visto in altri campi e che non ha prodotto risultati straordinari. Per carità, anche questo Coni è sempre stato attento agli spifferi d'oltretevere e spesso si è atleticamente adeguato ai cambi di programma e di casacca.

 

Coni e Balilla

 

Malagò non l’ha presa bene e ha invocato la sacra autonomia dell’istituzione. Anzi, con una forzatura nella lettura storica di quello che è anche il suo passato, ha detto che una cosa del genere non era accaduta nemmeno sotto il fascismo. Verissimo perché il fascismo si è proprio impossessato del Coni, trasformandolo in uno strumento del regime a guardia dell'anima giovanile del Paese, insieme all’Opera Nazionale Balilla (coltivava i ragazzini sino ai 14 anni). Il 20 novembre del 1933 gli diede un nuovo statuto e il 16 febbraio del 1942 emanò la legge costitutiva. Presidenti non furono dei personaggi che si trovavano a passare per caso dalle parti della sede del Coni, ma autorevoli gerarchi come Achille Starace, Leandro Arpinati e Augusto Turati. Al momento il fascismo ha fatto di peggio.

 

Lo dice il contratto...

 

Il governo ha risposto dicendo che la riforma è iscritta nel vangelo laico dell’alleanza gialloverde: il contratto di governo, le tavole della legge consegnate a Di Maio e Salvini non sul Monte Sinai ma sul più modesto Montecitorio. Poi, tramite Giorgetti, ha aggiunto che si vogliono soltanto trasferire nel nostro Paese modelli che in tutta Europa e in tutto il mondo si sono rivelati efficaci. Nessun attacco all'autonomia. Ovviamente il sottosegretario sa bene che di attacco si tratta, se non all’autonomia, al potere essenza dell’autonomia: il presidente del Coni con questa riforma sarà meno di un ‘primus inter pares’ rispetto ai colleghi delle Federazioni.

Un vecchio adagio sostiene che chi ha colpa dei propri mali può solo piangere sé stesso. Sino a quando il Coni non ha inciso sulle casse dello Stato perché si finanziava con il 30 per cento dei proventi del Totocalcio, i problemi non si sono mai posti. Poi sono stati commessi errori: commerciali (la cessione dell’Enalotto che, attraverso il Superenalotto, ha assestato un colpo letale alla schedina) e strategici (la corsa ad assecondare le necessità televisive con lo spezzettamento del campionato, la scelta di abbassare la guardia sul Totocalcio per favorire l’irruzione delle scommesse legali). L’altro giorno a sostegno di Malagò si sono alzate anche delle voci che per carità di patria avrebbero fatto meglio a tacere, avendo la responsabilità di molte scelte sbagliate.

 

La vera riforma

 

L’obiettivo di restituire il Coni al suo vero ruolo (la preparazione olimpica) è ragionevole. Il fatto è negli ultimi settant’anni si è consolidato un compromesso tra il Foro Italico e la politica che ha consentito ai governi di disinteressarsi dello sport; di non preoccuparsi della pratica di base che semmai avrebbe dovuto comportare anche una riforma più radicale della scuola; di non darsi troppa pena se gli istituti nascevano senza palestre (solo il 44 per cento le ha; il 14 per cento le condivide con altre scuole; il 15 per cento adatta corridoi, scantinati e cortili).
La riforma, quella vera, dovrebbe sciogliere proprio questo nodo: chi si occupa dello sport inteso non solo come pratica di base, ma anche come educazione e fenomeno culturale. Il nostro è un sistema ibrido, in buona misura ancora ispirato dalle scelte che fece il fascismo anche perché Giulio Onesti, al quale era stato dato il compito dal Cln di smantellare il sistema, preferì consolidare il potere del Coni portandosi dietro le federazioni sopravvissute alla guerra.

Alla pratica sportiva (che oggi coinvolge in maniera continuativa quindici milioni di italiani) noi non abbiamo mai dato un senso compiuto. Per i tedeschi e i francesi era propedeutica all'addestramento militare; gli inglesi, più intelligentemente, la inserirono nel contesto formativo delle scuole pubbliche e private. Noi l’abbiamo appaltata al Coni nascondendoci a livello scolastico dietro la foglia di fico dell’oretta di educazione fisica. Lo sport si riforma dandogli finalità formative e mettendolo al servizio della salute pubblica. Una cosa decisamente più complessa della legge su cui sta lavorando Giorgetti, che molto probabilmente darà un colpo al vecchio sistema ma non ne costruirà uno nuovo.

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