di Giuseppe Castellini

Al di là delle dichiarazioni di rito, delle gioie e delle amarezze dei singoli candidati, alla luce dei movimenti e delle lotte delle scorse settimane per conquistarsi ‘un posto al sole’ nelle liste del Pd, dalle scelte che ha effettuato il tavolo nazionale per quanto riguarda l’Umbria emergono vari elementi interessanti. Scelte fatte in pratica Renzi e dai renziani, perché le minoranze di Orlando ed Emiliano sono sulle barricate e non hanno partecipato al voto con cui la direzione nazionale del partito ha varato le liste.

LA BATTAGLIA TRA MARINI E BOCCI VINTA DALLA PRESIDENTE DELLA REGIONE

Come noto, tra i dem negli ultimi dieci giorni la battaglia è stata grande sul collegio uninominale di Perugia - Trasimeno. Posto non facile, perché per il Pd è considerato a rischio. Tuttavia lo aveva chiesto Gianpiero Bocci e, quando questa possibilità è diventata concreta, a entrare a gamba testa contro la richiesta del sottosegretario è stata la presidente della Regione, Catiuscia Marini. Per stoppare Bocci ha lanciato Giacomo Leonelli, che la Marini aveva in serbo come candidato anti Romizi a sindaco di Perugia, nelle comunali del 2019. Anche per chiudere ogni possibilità, a Bocci e ai ‘bocciani’, di giocare un ruolo da prim’attori nella partita per cercare di riconquistare Palazzo dei Priori.

La Marini non voleva Bocci perché Perugia è strategica negli equilibri del Pd umbro e un risultato positivo di Bocci avrebbe messo in un angolo la stessa Marini, facendola diventare, come dicono gli americani quando alla Casa Bianca c’è un presidente debole, ‘un’anatra zoppa’. Bocci, insomma, nella corsa alla candidatura alla presidenza della Regione, nel 2020, si sarebbe troppo rafforzato se avesse ottenuto un buon risultato su Perugia. E la Marini, che deve anche negoziare il suo futuro una volta che sarà uscita d Palazzo Donini, benché sappia che Bocci ha le carte migliori per la candidatura vuole che la trattativa con lui sia, appunto, una trattativa, e non una sorta di resa. Anche perché la presidente, che non ha una sua propria forza elettorale – a differenza di Bocci e di quella che aveva invece la Lorenzetti, punto di riferimento dell’allora forte corrente dalemiana – e che deve quindi stringere alleanze coi ras dei vari territori per poter incidere facendo leva sulla forza istituzionale che ha, su questo fronte si è molto indebolita (vedere in dettaglio l’articolo su questo argomento uscito nei giorni scorsi).

Senza contare che un Bocci rafforzato avrebbe moltiplicato di conseguenza anche il ruolo dei 5 consiglieri ‘bocciani’ (compreso Guasticchi, nonostante sia un ‘bocciano’ anomalo) in consiglio regionale, già peraltro forti e che spesso tengono sulla graticola la presidente, costringendola a duri negoziati su molti provvedimenti.

Quindi Bocci candidato sì, non potrebbe essere altrimenti, ma lontano da Perugia.

Il sottosegretario, quando ha visto che la Marini lanciava Leonelli per sbarrargli la strada sul collegio uninominale Perugia-Trasimeno, non potendosi permettere una guerra aperta contro il segretario regionale ha chiesto di essere candidato al Senato nell’uninominale al Senato, nel collegio che, più o meno, comprende la provincia di Perugia. Poteva essere un’utile mediazione, una sorta di pari e patta. Anche se alla Marini anche questo non andava bene, perché Bocci certamente sarebbe aumentato di peso come referente al Senato di tutta la provincia di Perugia, rafforzandosi non poco.

La partita l’ha vinta la Marini. Leonelli è candidato nell’uninominale alla Camera Perugia-Trasimeno e Bocci va nell’uninominale Foligno-Altotevere. Lontano da Perugia. Lontano dagli occhi, lontano dal cuore, o dal batticuore.

SI RAFFORZA L’ASSE LEONELLI – MARINI

La partita, insomma, è vinta dall’asse Leonelli – Marini. Perché il segretario regionale dem, benché fosse stato eletto anche dalla componente ‘bocciana’ nel quadro di un’intesa con gli altri pezzi del partito, via via si è spostato verso la Marini, che si era indebolita a causa del ridursi, e spesso dello squagliarsi, dell’area dei ‘giovani turchi’ che in Umbria era rappresentata appunto da Marini, Boccali (non più sindaco di Perugia), Giulietti in Altotevere, Todini a Marsciano, Rossini a Todi poi battuto alle elezioni comunali) e altri. Un gruppo che è imploso, con alcuni che sono usciti di scena, altri che sono andati in ordine sparso, altri ancora – tra cui la Marini e Giulietti – che hanno seguito Orfini nell’appoggio incondizionato a Renzi.

Una transumanza che ha creato un’oggettiva convergenza di interesse con i renziani della prima ora, tra cui appunto Giacomo Leonelli. Tanto che era Leonelli il candidato che la Marini avrebbe messo sul tavolo per la candidatura a sindaco di Perugia, davanti alla quale – restando Leonelli segretario regionale - i ‘bocciani’ nei piani della presidente avrebbe dovuto piegare la testa e mettere da parte ogni velleità su Perugia.

Da parte sua, Leonelli con questa candidatura rischia, ma si rafforza. Da un lato è chiaro che in Umbria è uno dei primari rappresentanti diretti di Renzi, dall’altro è inserito in uno schema di alleanze interne più ampio. Infine, se sarà eletto sarà lui a rappresentare Perugia in Parlamento e sarà lui, quindi, insieme alla Marini, a fare il bello e il cattivo tempo su molti snodi che ci saranno in futuro, a cominciare dalla scelta del candidato a sindaco di Perugia per il Pd.

RENZI PIGLIATUTTO

Renzi, in Umbria, ha fatto la stessa scelta realizzata un po’ in tutte le regioni. Fare il pugliatutto, o quasi, nelle candidature. Sa che gli equilibri nel Parlamento della prossima legislatura saranno difficili e quindi, per poter contare, ha bisogno di parlamentari fedelissimi. Visto il declino che ha subito, l’unico modo per stare in partita è giocare un ruolo chiave in un possibile ‘governo del presidente’ e non vuole che eventuali acrobazie sulle alleanze, su cui potrebbe giocare anche il suo futuro politico e personale, non si potranno fare senza un gruppo parlamentare compatto di fedeli. Quindi il suo, con le minoranze relegate in un ruolo minoritario, nel partito e nelle Camere. Tantopiù che i parlamentari delPd non saranno certo quelli del 2013, in cui il Pd – e l’allora alleata Sel – ottennero un super premio di maggioranza.

Quindi avanti tutta a schiacciasassi. Non si comprende come Orlando ed Emiliano non avessero capito che sarebbe finita così e come Gianni Cuperlo ancora ieri dichiarasse che “Renzi avrebbe rispettato i patti”, ossia dare alle minoranza il 20% dei candidati complessivi e, soprattutto, il 20% di quelli dati per sicuri (che sono molti meno rispetto a prima). Il 20%, infatti, è la percentuale che, più o meno, le minoranze hanno ottenuto al congresso. E non si capisce come, in questo quadro, i ‘nanetti’ alleati del Pd (+Europa, Insieme, la lista ‘petalosa’ della Lorenzin) abbiano creduto nella generosità di Renzi. A loro toccano davvero le briciole, con la poltrona parlamentare assicurata ai loro leader nazionali e pochissimo più. Ma il ruolo dei ‘nanetti’ è chiaro. Portare un po’ di voti direttamente al Pd, visto che nessuno di loro otterrà il 3% previsto dalla legge e quindi i loro consensi, nel proporzionale, verranno conteggiati come voti del Pd. Insomma, nel cervellotico Rosatellum uno rischia di votare la Bonino ma, se la sua lista non raggiunge il 3%, questi voti vengono in pratica conteggiati come voti Pd. Cose che avvengono solo in Italia.

I SICURI ELETTI

Prendendo per buoni i sondaggi pubblicati sul voto in Umbria, nel proporzionale il Pd, comprendendo anche i voti dei ‘nanetti’ che andranno direttamente ai dem per via appunto della nuova legge elettorale, ha 3 seggi sicuri – due alla Camera e uno al Senato – Guardando la composizione delle liste – non si possono dare le preferenze, ci sono i listini bloccati – eletti con certezza sono Anna Ascani, primo nome nel proporzionale alla Camera, Walter Verini – secondo nome del listino alla Camera e collaboratore storico di Walter Velroni – e Nadia Ginetti. Quest’ultima è il secondo nome del listino al Senato, ma il primo è direttamente Renzi che, essendo candidato in più collegi del proporzionale in Italia, difficile che opti per l’elezione nel collegio di Perugia, lasciando quindi il seggio alla Ginetti.

Ma è concretamente possibile, per tutta una serie di motivi tra cui il fatto che il Pd è il partito più anziano d’Italia e quindi al Senato otterrà certamente più che alla Camera come già avvenne nel 2013, possa scattare anche il secondo seggio al Senato. In questo caso, dando per scontato che Renzi opterà per l’elezione in un altri collegio, ci sono concrete possibilità che ad entrare al Senato sia Leonardo Grimani, sindaco di San Gemini. Difficile invece, ma non impossibile, l’elezione del terzo deputato, che in questo caso del tutto improbabile sarebbe Emanuale Mori, consigliere comunale a Perugia e moglie del consigliere regionale Marco Vinicio Guasticchi.

Inutile fare invece previsioni, anche in base ai sondaggi, sugli eletti nei 5 collegi uninominali (3 alla Camera e 2 al Senato). Lì è un terno al lotto dappertutto, anche se Ipsos per la l’uninominale alla Camera assegna in Umrbia 2 seggi al Pd (già, ma in quali dei tre collegi?) e uno al centrodestra.

SALE GUASTICCHI

Come detto, Marco Vinicio Guasticchi vede la moglie candidata al terzo posto del proporzionale alla Camera e questo è un segno di forza. Pare che a imporre il nome di Emanuela Mori sia stato direttamente il braccio destro di Renzi, Luca Lotti. Guasticchi insomma manda a dire: io a Roma sono forte di mio. Un messaggio a tutti che il consigliere regionale avrà un ruolo non marginale nelle candidature al comune di Perugia nel 2019, che il suo peso specifico è alto negli equilibri del Pd umbro e che anche se ha un ottimo rapporto con Bocci gioca anche per conto suo. Leonelli e Giulietti, nella maggioranza del partito i due principali avversari di Bocci, sono avvertiti. Il tavolo da gioco di Guasticchi, insomma, appare largo e gli schemi che può adottare numerosi.

DURA LEZIONE PER POLINORI

Il neo segretario del Pd di Perugia, Paolo Polinori, che aveva inviato una mail indicando come candidati all’uninominale nel collegio Perugia-Trasimeno Gianpiero Bocci e Valeria Cardinali per essere subito smentito dalla direzione comunale del Pd perugino, esce politicamente con le ossa rotte. Ha toccato con mano chi comanda davvero e si è reso conto che il suo ruolo è praticamente inesistente.

IL RUOLO DI CUCINELLI

I ‘rumors’ dicono che dietro la ricandidatura in un posto sicuro per la Ginetti ci sia, ancora una volta – come avvenne nel 2013 – Brunello Cucinelli. Ginetti era data come il vaso di coccio, ma evidentemente dentro quell’apparente ‘coccio’ c’era il ferro. Si narra si una cena con molte persone del Pd, alcuni giorni fa a Solomeo organizzata da Cucinelli, in cui in pratica tutti avrebbero capito che Ginetti sarebbe stata candidata grazie ai buoni uffici dell’imprendtore con Renzi. Ubi maior, minor cessat, dice la sapienza latina.

GLI ESCLUSI

Nella minoranza, tra i due liiganti il terzo gode. Gli orlandiani possono contare in Umbria solo nella candidatura dell’ex ministro Cesare Damiano, nell’uninominale alla Camera a Terni. Un collegio considerato peraltro ad altissimo rischio. Per le minoranza, quindi, nessun seggio sicuro e Cardinali e Rossi, senatori uscenti e di rito orlandiano, fuori dalla partita.

Tra i due c’era stata una sorda lotta per la candidatura – si diceva che in Umbria gli orlandiani avrebbero avuto una candidatura sicura e il ballottaggio era tra Rossi e Cardinali – ma alla fine hanno fatto come i capponi di Renzo.

A uscire con le ossa rotte in Umbria – e non solo in Umbria – non è solo la componente di Orlando (che a sua volta è divisa in varie sotto componenti), ma anche quella di Fassino, che pure è alleato con Renzi nella funzione di ‘pontiere’ tra il renzismo e la sinistra, interna ed esterna al partito. La vice presidente della Camera, Marina Sereni, fedelissima di Fassino, è infatti fuori dalle candidature e gli altri ‘fassiniani’ nella distribuzione delle candidature in Italia sono stati anch’essi piuttosto maltrattati.

E ADESSO?

Adesso parleranno i cittadini. La partita, in Italia e in Umbria, per ilPd renziano appare cruciale. Un buon risultato rilancerebbe Renzi e il renzismo, Un risultato così così darebbe comunque fiato al segretario. Un risultato scadente provocherebbe un maremoto, con le carte che, a livello nazionale e umbro, si rimescoleranno tutte. Con fenomeni che coinvolgerebbero anche la presidenza della Regione con fibrillazioni che potrebbero portare anche alla fine anticipata della legislatura regionale. O che, se lo spettro dei candidati toto renziani nella regione dovesse subire un duro colpo, porterebbe la presidente Marini a diventare, politicamente e istituzionalmente, quell’anatra zoppa di cui si è parlato. Ma forse, a quel punto, per gli umbri sarebbe meglio riandare al voto per la Regione e aprire una stagione nuova. Se invece il Pd andrà bene o almeno così così, cambierà poco o nulla, a cominciare dal dualismo Bocci-Marini. Ma la differenza è che sarà il renzismo a diventare a razione integrale la filosofia politica di governo dell’Umbria.

Insomma, sarà un voto dalla coda lunga, in un senso o in altro. Attaccato ad esso ci sono destini politici e personali di un certo numero di persone.

GRANDE DIMOSTRAZIONE DI FORZA DEL M5S

Infine, un corollario. La manifestazione organizzata a Perugia dal M5S con Luigi di Maio è stata una dimostrazione di grande forza. L’Auditorium Capitini, che conta più di 600 posti, era strapieno, e centinaia di persone erano fuori non essendo riuscite a entrare. Secondo i calcoli più accreditati, c’erano più di mille persone. Una folla pari a quella che mise insieme, sempre al Capitini, il primo Renzi nel 2013 e 2014, prima di scegliere location molto, ma molto più contenute man mano che la sua stella declinava.

Insomma, il M5S anche in Umbria appare molto forte, forse più forte di quello che nella regione gli assegnano i sondaggi (27%). Una folla, quella al Capitini, che a tanti candidati degli altri partiti ha fatto venire i goccioloni di sudore.

La partita è aperta. È la politica, bellezza.

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