Boom dei depositi bancari e postali delle imprese italiane, cresciuti in soli sei mesi di ben 40,8 miliardi. Un incremento semestrale che non ha precedenti. Da dove arriva questo incremento e il suo significato. Si tratta di una notizia bifronte, buona e cattiva allo stesso tempo. E c’è anche un grosso rischio.

Focus sulla situazione in Umbria, che presenta qualche problema in più e dove i dati potrebbero significare una minore fiducia delle imprese sulla ripresa nel 2021.

Fonte dei dati: Banca d’Italia.

Rapporto a cura dell’Agenzia Mediacom043, diretta da Giuseppe Castellini, che ha elaborati i dati forniti dalla Banca d’Italia. È allegato un file con tre tabelle, riguardanti i dati medi nazionali, quelli delle circoscrizioni e di tutte le regioni italiane.

Al Rapporto sono allegate tre tabelle. Chi le desiderasse può mandare messaggio WhatsApp al numero 334/6245400.

 

Boom dei depositi bancari e postali delle imprese in Italia, ossia della forma più liquida del risparmio, dal denaro sul conto corrente ad altre allocazioni comunque di breve periodo. Una notizia che è allo stesso tempo cattiva, per quanto scontata, ma anche buona, per quanto non ancora realizzata. Ma andiamo con ordine.

Come si può osservare nella tabella 1 allegata, che presenta l’andamento nazionale e per regioni curato trimestralmente dalla Banca d’Italia, in soli sei mesi (dal 31 dicembre al 30 giugno 2020) i depositi complessivi delle imprese (prevalentemente le società non finanziarie ma anche le famiglie produttrici, con queste ultime che rappresentano in generale le imprese familiari e quelle piccolissime) in Italia sono cresciuti di ben 40,8 miliardi di euro, con un incremento dell’11,2%: ammontavano a 363,12 miliardi di euro il 31 dicembre 2019, ammontano a 403,92 miliardi il 30 giugno 2020.

Prima di vedere da dove arriva tale incremento e presentare il suo duplice significato, alcuni parametri di riferimento:
 

1) Per comprende bene l’importanza di questo maxi aumento in soli 6 mesi dei depositi bancari e postali delle imprese italiane basti dire che 40,8 miliardi di euro rappresentano un valore che, riferito al Pil 2019 del Paese (1.787,7 miliardi di euro), è quasi il 2,3% del Pil stesso, in pratica una manovra finanziaria. E che i 40,8 miliardi, se riferito al Pil stimato per il 2020 (circa il 10% meno di quello del 2019), ne rappresentano oltre il 2,5%.

Quanto al valore complessivo dei depositi bancari e postali delle imprese italiane, al 30 giugno 2020 è di 403,92 miliardi, il 22,6% del Pil 2019 e il 25,1% di quello stimato per il 2020. Insomma, una montagna di soldi.

2) Riguardo alla scomposizione dei dati tra società non finanziarie e famiglie produttive (tabelle n. 2 e n. 3), in sei mesi l’incremento dei depositi delle prime è di 32,2 miliardi di euro (da 297,246 miliardi del 31 dicembre 2019 a 349,487 miliardi del 30 giugno 2020, +10,98), mentre per le famiglie produttrici l’aumento è di 8,859 miliardi di euro (da 65,874 a 54,433 miliardi, +13%).

Da considerare che, al 30 giugno 2020, l’ammontare complessivo dei depositi bancari e postali delle società non finanziarie è di 329,484 miliardi di euro, mentre quello delle famiglie produttrici è di 74,433 miliardi. Le prime, in sostanza, in termini di depositi valgono otre 4,4 volte le seconde.

3) Quanto alle regioni, le tabelle allegate presentano il quadro completo. Basti dire che, se il Nord-Ovest fa la parte del leone (con un incremento dei depositi di 13,456 miliardi di euro), in termini percentuali sono le Isole (+14,1%) e il Sud continentale ad evidenziare la crescita maggiore (+13,4%). Il Nord-Est e il Centro segnano +11,6%.

Ovviamente, se si guarda ai depositi complessivi delle imprese e non all’incremento nel semestre, la distribuzione vede le imprese del Nord, con 255,8 miliardi di euro, detenere il 63,3% dei depositi totali delle aziende in Italia (37,4% il Nord-Ovest e il 25,9% il Nord-Est), mentre le imprese del Centro contano depositi per 87,752 miliardi di euro (21,7% del totale nazionale) e quelle del Sud per 60,36 miliardi, il 14,9% del totale nazionale (quasi l’11% il Sud continentale e quasi il 4% le Isole)

a dove arriva questo forte incremento?

Se si guarda invece all’incremento dei prestiti di banche e Cassa depositi e prestiti (Cdp) alle imprese (sia società non finanziarie che imprese produttrici), si scopre che nel semestre in Italia sono cresciuti di 33,918 miliardi di euro, cifra che non è di molto inferiore ai 40,8 miliardi di incremento dei depositi. Secondo gli esperti (un tema che di recente ha trattato molto bene Carlo Messina, l’Ad del Gruppo Banca Intesa – il primo gruppo bancario italiano) una parte molto consistente dell’aumento dei depositi deriva da prestiti che le imprese hanno ottenuto, ma che – nel clima di incertezza ingigantita dalla pandemia da Covif-19 – tengono inoperoso. In altre parole, si tratta di ‘denaro ozioso’, che al momento non si trasforma in investimenti e quindi in crescita economica e occupazionale. Un denaro parcheggiato.

In sintesi l’aumento eccezionale della liquidità, avvenuto nel mondo in questi anni con le politiche maxi espansive delle Banche centrali, arriva anche alle imprese italiane, che però al momento attendono gli eventi. Come si usa dire, davanti al fontanile c’è molta acqua, ma il cavallo non ha sete e non beve. Attende gli eventi.

Una notizia bifronte, buona e cattiva. E un grosso rischio

Della parte cattiva della notizia si è già detto: alle imprese italiane arrivano prestiti che le aziende per ora non trasformano in investimenti, quindi in crescita.

La parte buona della notizia è che, passato l’impatto della pandemia e con uno scenario meno incerto, una parte importante di questi soldi inoperosi delle imprese italiane potrebbe trasformarsi in investimenti, dando una forte spinta alla crescita. Non solo i 40,8 miliardi di depositi bancari e postali cresciuti in questi mesi, ma più in generale uno ‘scongelamento’ di parte dei 403,92 miliardi di depositi complessivi delle aziende italiane. Insomma, la benzina è tanta, ma manca l’auto.

Qui il discorso si farebbe lungo, perché affinché questo ‘scongelamento’ della montagna di depositi possa avvenire in maniera significativa non basta la fine della pandemia, ma anche una spinta da parte degli investimenti pubblici: su questo punto è cruciale il buon uso del Recovery-Fund – Next Generation lanciato dall’Unione europea, del quale al momento sono assegnati all’Italia ben 209 miliardi di euro, in parte diciamo ‘a fondo perduto’ (81miliardi), e in parte in prestiti a basso tasso di interesse e di lungo periodo. Oltre ovviamente a un riassetto complessivo del Paese, aumentando la sua credibilità e la sua efficienza. Investimenti pubblici che, sulla base di scelte chiare e che guardano al futuro, potrebbero aprire la strada all’attivismo dei privati. Ci fermiamo qui perché il discorso, come detto, sarebbe lungo e complesso.

Quanto al grosso rischio, è che una parte consistente delle imprese, se continuasse a lungo l’incertezza e se non si prospettassero investimenti profittevoli, potrebbero allocare questi investimenti in strumenti di più lungo periodo, che abbiano un rendimento superiore al costo dei prestiti ottenuti in termini di tassi di interesse. Questo toglierebbe agli investimenti produttivi la ‘benzina’ che hanno a disposizione.

Insomma, la partita della crescita è tutta da giocare, con molte potenzialità ma anche con non poche incognite. Ed è bene chiarire che su questa partita l’Italia si gioca moltissimo del suo futuro.

Focus sull’Umbria

I dati umbri ricalcano, con qualche differenza significativa, il trend nazionale. Nella regione, come si può osservare nelle tabelle allegate, in sei mesi l’incremento dei depositi bancari e postali delle imprese è di 390 milioni di euro: i depositi bancari e posali delle aziende in Umbria sono cresciuti dai 3,911 miliardi di dicembre 2019 a 4,301 miliardi di giugno 2020, con un incremento percentuale del 10%, rispetto a +11,2% della media italiana e a +11,6% di quella del Centro.

Tuttavia, visto che i prestiti complessivi di banche e Cdp alle imprese umbre sono aumentati nel semestre di 229 milioni, rispetto alla media nazionale l’incremento è meno riconducibile all’aumento dei prestiti ottenuti. Questi, infatti, nella media italiana rappresentano, nel semestre, l’83,2% della crescita dei depositi, mentre in Umbria tale percentuale si ferma al 58,7%. Ciò potrebbe spiegare, almeno in parte, perché l’incremento dei depositi delle imprese in Umbria è meno forte che nella media nazionale. Appunto perché la crescita dei loro depositi è stata meno marcata.

E potrebbe essere la spia o di una maggiore difficoltà delle imprese umbre a ottenere prestiti, oppure il fatto che ne chiedono meno, visto che la regione è avvolta dal 2009 in una grave situazione economica avendo subito un arretramento percentuale del Pil peggiore d’Italia dopo quello del Molise. Dati che potrebbero anche essere la spia di una minore fiducia delle imprese umbre sulla forza della ripartenza nel 2021 e, quindi, di un minor accumulo di ‘benzina’.

Si tratta tuttavia di possibilità e non certezze, perché sarebbero necessari dati più dettagliati per capire qual è veramente la situazione. Tuttavia si tratta di possibili chiavi di lettura per cogliere i segnali che nei prossimi mesi arriveranno dal mondo economico e finanziario umbro.

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