di Damiano Stufara*

Ci sono delle epoche in cui le fasi politiche si succedono con straordinaria rapidità, specialmente quando ad essere direttamente coinvolte sono le classi popolari e le organizzazioni che queste si danno.
La battaglia sui beni comuni, ed in particolare quella per l'acqua pubblica, rappresentano in questo senso un esempio lampante di come si possa passare da una grande avanzata delle istanze democratiche e partecipative rispetto al governo del territorio, ad una prepotente restaurazione del sistema di potere che, in questi ultimi anni, si è affermato all'interno della sfera politica, e che si pone in maniera ormai manifesta l'obiettivo di esautorare le forze socialmente organizzate da ogni decisione.
La continuità fra l'opera del governo Berlusconi, che ad agosto scorso aveva ripristinato, sostanzialmente, la disciplina contenuta nell'art. 23 bis del "decreto Ronchi” rispetto ai servizi pubblici locali ad eccezione dell'acqua, e quella del governo Monti, che intende imporre il sistema aziendale anche in merito al servizio idrico, è pressoché totale ed impone ai movimenti ed alle forze che hanno sostenuto la campagna referendaria una serie di considerazioni, se non si vuole accettare l'italica logica secondo cui “passata la festa, gabbato lo santo”.
La rimozione nella memoria collettiva del tema dei beni comuni è sicuramente la carta su cui punta il Partito Democratico, il cui sostegno in occasione dei referendum era dettato, oltre che dall'esigenza di disarcionare Berlusconi, dall'opportunità che il suo esito favorevole presentava per potersi successivamente accreditare come la forza politica in grado di vincere la partita delle privatizzazioni. Una strategia di costruzione del consenso fatta di rapporti privilegiati con i grandi decisori economici e finanziari, perfettamente organica con l'assetto bipolare della nostra malandata democrazia.
Lo scenario che adesso si è aperto con il governo Monti vede un insieme di partiti neoliberisti che conservano, in varie forme e misure, una base tra i lavoratori, che difendono fra di essi l'ideologia neoliberista e si sforzano di arrestare gli sviluppi dei movimenti, dei partiti e delle organizzazioni del lavoro in direzione della riappropriazione del potere decisionale sul complesso del corpo sociale da parte delle forze vive della società; uno scontro fra due ideologie, quella della mercificazione contro quella della partecipazione.
Il nostro vantaggio è dato dalla possibilità di intervenire sulle contraddizioni esistenti a partire dai territori; per questo in Umbria ci stiamo battendo, come Gruppo consiliare del PRC-FdS in Consiglio Regionale, affinché nello statuto regionale si riconosca l'acqua come un bene comune, la cui gestione deve essere, coerentemente con tale principio, pubblica. Un concetto, questo, che ribadiremo in occasione del Forum dei Comuni sui Beni Comuni del 28 gennaio a Napoli, a cui parteciperemo.
Si tratta di un primo passo, a cui deve però accompagnarsi una nuova mobilitazione all'interno della società finalizzata a ribadire l'indiscutibilità dell'esito referendario ed a porre il tema della sua attualizzazione, ad esempio con la pratica dell'autoriduzione della bolletta; pagare le bollette relative ai periodi successivi al 21 luglio 2011 applicando una riduzione pari alla componente della “remunerazione del capitale investito” può realmente divenire un'azione di massa, che al diritto virtuale dei gestori del servizio idrico contrappone il diritto reale di tutta la popolazione.
La battaglia per la ripubblicizzazione dell'acqua, obiettivo finale di un cammino difficile e non esente da incongruenze, specie da parte delle forze politiche, può essere agita ripartendo da queste come da altre iniziative, vero banco di prova della possibilità di riaggregare tutte le soggettività in un movimento plurale e coerente rispetto ai suoi principi.
Produrre un'autentica sinergia fra il processo politico di trasformazione del quadro normativo con quello sociale di rivendicazione delle proprie prerogative è ciò che ancora manca nel nostro Paese e che chiama in causa in primo luogo i partiti della sinistra, di fronte ai quali si pone il compito di formulare una concezione della società contemporanea interna ai processi socio-economici in corso e finalmente emancipata dal rischio della compatibilità con il sistema. In questo senso il comunismo, inteso prima di tutto come strumento teorico e pratico di analisi delle forme sociali ai fini della loro trasformazione, si rivela non un qualcosa da riattualizzare, ma appunto un fattore dirimente per la qualità e l'ampiezza del conflitto che verrà posto in atto da qui a venire per la democrazia, la libertà e la partecipazione dei popoli alle decisioni. Dei beni comuni, come dell'essere di Aristotele, si può predicare in molti modi; il nostro si chiama comunismo.

*Capogruppo PRC-FdS Regione Umbria

Fonte: controlacrisi.org

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