Chi sostiene che la Bce non può far nulla per la crescita e l’occupazione assume aprioristicamente che l’unico modo di essere banca centrale è quello definito dallo statuto dell’Istituto di Francoforte. Ma le funzioni attribuite a una Banca centrale sono solo il riflesso di un particolare momento storico. Nella realtà del passato obiettivi e strumenti sono stati variamente declinati; nel caso della Bce – sotto la pressione del pensiero neoliberale – la scelta politica è stata esplicita: l’obiettivo è il contenimento del tasso d’inflazione dell’area e lo strumento è la regolazione del volume di liquidità sul mercato monetario (quel particolare mercato internazionale in cui le banche si scambiano i mezzi liquidi eccedenti). L’interlocutore della Bce sono quindi le banche (il settore pubblico è posto in un angolo) nell’assunto che le loro decisioni siano quelle più valide per l’intero sistema: gli obiettivi delle banche divengono così di fatto gli obiettivi di politica economica. Seguendo questa logica la Bce ha rinunciato a svolgere il suo ruolo di prestatore di ultima istanza nei confronti degli Stati, vittime della crisi degli spread. Inoltre l’azione della Banca centrale, seguendo l’onda americana, ha tenuto bassi i tassi d’interesse sui fondi più liquidi sostenendo la spinta dei risparmiatori (e degli istituti finanziari) a spostarsi verso attività finanziarie più rischiose; paradossalmente i bassi tassi d’interesse non hanno favorito l’attività produttiva (tranne l’immobiliare).

Infatti il minor costo del credito è stato più che compensato dalle minori attese di redditività dell’apparato produttivo, causate dalle deboli condizioni di domanda. L’attività finanziaria si è quindi avvantaggiata a scapito di quella produttiva. Dopo lo shock della crisi finanziaria americana la Bce ha cambiato il passo, ma non il suo quadro di riferimento. Sulla crisi bancaria è intervenuta immettendo quantità rilevanti di liquidità che hanno dato respiro alle banche in difficoltà; ma sulla crisi dei debiti pubblici ha ceduto il passo, limitandosi a spingere la banche a investire sui titolo di debito degli Stati. È in ogni caso il sistema delle banche a essere il terminale delle scelte di politica economica. La Bce potrebbe fare molto di più per la crescita e l’occupazione.

Ma servirebbe un diverso contesto istituzionale, in cui il sistema finanziario sia in grado di rappresentare un contenimento della finanza (speculativa) globale al fine di sostenere le opportunità produttive all’interno dell’area. È un aspetto dell’ormai necessaria ristrutturazione istituzionale europea per una politica economica che ponga al suo centro l’occupazione, i suoi redditi e i suoi diritti. Finora l’assetto della Bce e il suo comportamento è stata coerente con il quadro neoliberista all’interno del quale è nata (e che tanti danni ha fatto). Ma nulla vieta, se non radicati interessi, che essa possa assumere un diverso assetto e adottare comportamenti coerenti con un quadro di politica economica che si proponga la realizzazione di un’effettiva cittadinanza europea. Sulla consapevolezza della necessità di cambiare quadro non vi sono molti segni, ma vi sono.

di Claudio Gnesutta, ex docente di Economia politica a La Sapienza di Roma, esperto di politica monetaria. Scrive sul sito sbilanciamoci.info

Fonte: Left - da: controlacrisi.org

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