Una conferenza stampa al fulmicotone quella del professor Andrea Crisanti, che il Consiglio di Stato ha riammesso in servizio con sentenza definitiva come docente universitario dopo che era stato dichiarato decaduto, con nota del rettore dell’Ateneo dell’8 giugno 2015, dall’incarico di professore all’Università di Perugia per incompatibilità tra questo ruolo e quello di professore di parassitologia molecolare presso il Dipartimento di scenzie della vita dell’Imperial college di Londra. Una decisione, quella del Consiglio di Stato, che è un terremoto per gli equilibri della sanità umbra e per la sanità universitaria. Perché il professor Andrea Crisanti è stato il protagonista della creazione del centro di genomica, genetica e biologia, che doveva essere il fiore all’occhiello della sanità umbra e dell’innovazione nella sanità regionale ma sul quale, una volta terminata l’era del rettorato Bistoni, l’Università ha cambiato linea facendo di fatto marcia indietro. E la sentenza che gli dà ragione cambia gli equilibri ed è la base per iniziative giudiziarie civili e penali già annunciate da parte del professore, che già chiede a gran voce la restituzione della strumentazione sanitaria che era del Polo di genomica al Dipartimento di Medicina sperimentale. Strumentazione che, a quanto si dice, è stata affidata ad altri Dipartimenti.

E un combattente, il professor Crisanti, che non le manda a dire. Sentite alcune frasi dette nell’affollata conferenza stampa, convocata appunto alla luce della sentenza che dichiara illegittima a tutto tondo. “Le cose scritte nella sentenza dimostrano senza ombra di dubbio che verso di me c’è stata una vera e propria persecuzione. Nella mia stessa situazione, ossia con la richiesta di aspettativa (nel caso di Crisanti per svolgere attività di ricerca all’Imperial college di Londra), c’erano altri tre docenti. A tutti è stata concessa, a me la risposta è stata la radiazione”. E ancora: “L’Università di Perugia ha dichiarato il falso ed è venuta meno, credo sia la prima volta e come evidenzia la sentenza, al principio di correttezza. Una cosa gravissima, che pesa sulla spelle dei vertici dell’Università di Perugia. Insomma, per l’Università di Perugia la sentenza rappresenta una “Waterloo giudiziaria”. E non finisce qui, perché in base a quanto sentenziato dal Consiglio di Stato seguiranno azioni in sede penale e civile contro l’Ateneo umbro. E poi: “In questa vicenda, con la distruzione del Polo di genomica, non ci sono solo come vittime l’Università e la ricerca scientifica. Le vittime sono anche i soci del Polo, i pazienti della sanità pubblica e i contribuenti, visto che sono stati gettati al vento 10 milioni di euro. E credo che anche da alcuni di loro, a questo punto, possano essere mosse iniziative legali”.

Ma perché professor Crisanti, per usare le sue stesse parole, si è voluta attuare tale ‘persecuzione’?

“Perché, in qualità di amministratore delegato del Polo di genomica, ero lo snodo essenzale di difesa di un progetto d’assoluta avanguardia in cui erano stato investiti circa 10 milioni di euro e il garante degli impegni assunti dai soci, tra cui Regione e Università. Per affondare il Polo di genomica si doveva per forza far fuori di me. E così è stato fatto. In modo illegittimo, come dimostra la sentenza. Non credo sia un caso che ‘aggressione contro di me sia stata attuata pochi giorni dopo aver inviato, proprio in qualità di responsabile degli impegni dei soci, di una lettera di diffida. Le carte che dimostrano quanto affermo le trovate nella cartella stampa”.

Il Polo di genomica, che doveva essere un’eccellenza nazionale, è stata un’occasione persa per la sanità umbra?

“Una grossa occasione persa. Oggi questo tema è indicato tra le priorità della politica sanitaria nazionale. Qui, invece, è stato demolito tutto”.

C’è possibilità che, dopo questa sentenza, qualcosa di quell’esperienza possa essere recuperato?

“No, non si riorganizza in tempi brevi e facilmente quel complesso di politiche, di competenze, di risorse. È un qualcosa, penso, che l’Umbria ha definitivamente perso”.

Dopo la sentenza, il rettore Moriconi le ha inviato qualche segnale?
“Nessuno”.

Due anni fa le spiegò perché non era d’accordo con il Polo di genomica?
“Mai”.

Ma perché, secondo lei, Moriconi ha voluto interrompere quell’esperienza? Giusto perché era stata un’idea del suo predecessore Bistoni?

“Questa vicenda sta a dire che il rettore Moriconi non ha interesse per la ricerca nell’ambito della sua gestione dell’Università”.

È vero che lei chiederà la restituzione al Dipartimento di Medicina sperimentale della strumentazione che era del Polo di genomica?
“Assolutamente sì, mi sembra il minimo che si deve” (parole che, non appena circolate negli ambienti della sanità umbra, in particolare di quella universitaria, pare abbiano provocato grandi fibrillazioni).

È vero che, alla luce di questa sentenza definitiva, intende muovere cause civili e penali contro l’Università di Perugia?

“La sentenza dice cose che certamente aprono questa possibilità in maniera molto concreta e pesante. Ma credo che tale dovere non ci sia solo da parte mia. Le vittime della distruzione del Polo di genomica, oltre all’Università e alla ricerca scientifica, sono i pazienti della sanità pubblica, i soci e i contribuenti, che hanno visto gettare al vento 10 milioni di euro”.

Con che spirito ha passato questi due anni?

“Con grande sofferenza, ma anche con un grande deiìsiderio che fosse fatta verità e giustizia. Ho dovuto reggere un colpo teremendo e ho retto per lamia determinazione e anche per le mie possibilità”.

Al di là dei fatti, una notazione amara. Il professor Crisanti ha ragioni da vendere quando afferma che ha retto anche perché ha avuto le possibilità economiche di resistere. Un altro con meno possibilità, infatti, non avrebbe potuto reggere a quella che la sentenza del Consiglio di Stato qualifica, in estrema sintesi, come una prepotenza. La giustizia, a differenza di quanto si afferma nella nostra Costituzione, non è per tutti. È per chi se lo può permettere e, per sua fortuna, il professor Crisanti ha potuto evitare un sopruso anche perché, oltre ad avere ragione, se lo è potuto permettere. È questa la Repubblica che sognavano i padri Costituenti? C’è da andare fieri o da vergognarsi della Repubblica italiana e del suo ceto dirigente? L’ex presidente della Repubblica, Ciampi, scrisse un bel libro amaro: “Non è il Paese che sognavo”. Nemmeno per noi è la Repubblica in cui volevamo vivere.

Condividi