Leg­gere il XVII rap­porto Alma­lau­rea sulla con­di­zione occu­pa­zio­nale dei lau­reati – pre­sen­tato ieri all’università Bicocca a Milano — è un’occasione per smen­tire alcuni luo­ghi comuni della classe diri­gente più ideo­lo­gica e igno­rante d’Europa, quella ita­liana. Comin­ciamo dall’imprenditore, pre­sen­tato a tutti come modello di virtù. Nel 2013 il 28% dei mana­ger aveva com­ple­tato solo la scuola dell’obbligo. In Ger­ma­nia tale quota è del 5%. La media Eu27 è del 10%. Alle imprese dirette da que­sta cate­go­ria il governo Renzi ha elar­gito 3,9 miliardi di euro in sgravi fiscali per assu­mere pre­cari «a tutele cre­scenti» in tre anni.

Il rap­porto Alma­lau­rea ricorda come que­sto ceto senza for­ma­zione ter­zia­ria avan­zata abbia dato vita ad una strut­tura impren­di­to­riale a gestione fami­liare (il 66% con­tro il 36% della Spa­gna e il 28% della Ger­ma­nia), inca­pace di «valo­riz­zare il capi­tale umano», l’innovazione del lavoro e l’internazionalizzazione dell’impresa. Più che inve­stire sul lavoro e sulla for­ma­zione, il governo sta pre­miando i mec­ca­ni­smi di reclu­ta­mento di tipo fami­li­stico che, secondo il rap­porto, sono dif­fusi in que­sta tipo­lo­gia di aziende. Così la mobi­lità sociale resta il sogno degli illusi della meritocrazia.

La ricerca per­mette inol­tre di com­pren­dere il com­plesso intrec­cio tra l’arretratezza cul­tu­rale, l’inesistenza delle poli­ti­che indu­striali, bassi salari (i lau­reati gua­da­gnano mille euro in media) e il fal­li­mento delle riforme dell’istruzione, a comin­ciare da quella del loquace Luigi Ber­lin­guer riven­di­cata da Renzi. Un disa­stro atte­stato dal basso tasso dei lau­reati (il 22% con­tro una media Ue al 37%) a cui oggi si aggiunge il crollo delle iscri­zioni all’università: dal 2003 (338 mila) al 2013 (270 mila), meno 20%. Invece di curarlo, que­ste «riforme» hanno peg­gio­rato il basso tasso di sco­la­riz­za­zione tra la popo­la­zione. Nel 2013 gli adulti in pos­sesso della scuola dell’obbligo erano il 64%, più del dop­pio della media euro­pea al 29%, per non par­lare di quella tede­sca al 18%.

Altra leg­genda smon­tata dal rap­porto. I lau­reati ita­liani costano troppo. Falso: costano la metà di un lau­reato tede­sco e circa il 30% in meno della media dei paesi Ocse. Il rap­porto offre, infine, una spie­ga­zione della fami­ge­rata «fuga dei cer­velli», interna ed esterna. Il «brain drain» è un feno­meno nor­male in un’economia cogni­tiva, ma ingi­gan­tito dalla reto­rica patriot­tarda del made in Italy. Il pro­blema dell’Italia è che non attrae «cer­velli» dall’estero. Nes­suno è inte­res­sato a lavo­rare in un’università tagliata di 1,1 miliardi dal 2008 e con sti­pendi da fame.

Oggi l’emigrazione degli stu­denti da Sud a Nord è stata cau­sata anche dalla riforma Gel­mini che ha tra­sfor­mato le uni­ver­sità in aziende che com­pe­tono per otte­nere un fondo pre­miale. Sostiene Alma­lau­rea che la pola­riz­za­zione Nord-Sud sia cau­sata dall’uso del «ran­king». Le fami­glie iscri­vono i figli nelle uni­ver­sità prime in clas­si­fica. Al «ran­king», Alma­lau­rea pre­fe­ri­sce il «rating», con­cetto discu­ti­bile che sem­bra allu­dere a una valu­ta­zione «effi­ciente» e a norma di Costi­tu­zione. Resta da capire chi deci­derà sui cri­teri dell’allocazione delle risorse scarse e sulla loro valu­ta­zione. Gli stessi poli­tici e buro­crati che hanno creato il disa­stro neo­li­be­ri­sta dell’istruzione-azienda?

Condividi