di Vanni Capoccia.

Capire cos’è, o dovrebbe essere, la sanità pubblica non è complicato. Significa prendersi cura delle persone che ne hanno bisogno, essere con loro accoglienti ed empatici, stabilire qualora ce ne fosse bisogno continuità terapeutica e un rapporto di fiducia tra assistito e sanitario, in poche parole instaurare e mettere alla base di ciò che si deve fare quella che si chiama medicina di relazione.
È tutto qui la sanità pubblica, senza questo non esiste.
Fino a pochi giorni fa persone che per una malattia cronica, o perché gli avevano trovato una cisti da qualche parte il cui sviluppo deve essere controllato o altro la sperimentavano: avevano un medico che si occupava di loro, era sempre lo stesso, si preoccupava che facessero i controlli al momento opportuno prenotandogli gli esami da fare, controllava le risposte, prendeva le opportune decisioni.
Non era favoritismo perché valeva per tutti. Era continuità terapeutica.
Ora queste persone stanno ricevendo mail con le quali il medico che le seguiva le informa che per disposizioni regionali non potrà più farlo. Dovranno prenotarsi gli esami da soli.
È la stessa cosa? Per Niente.
Ci saranno le solite lungaggini, gli esami da fare chissà dove, ritardi e così via. Il risultato sarà che chi può andrà dal privato a pagamento. Per gli altri passerà più tempo da un esame all’altro, il legame con il medico che li segue si affievolirà fino a sparire, si scoraggeranno e parecchi non si controlleranno più.
Ecco come si favorisce il privato rispetto al pubblico, non si fa con le delibere, si fa così.
 

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