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La sinistra stata inefficace quando, limitandosi alla denuncia, ha disprezzato la ricerca di soluzioni operative per contrastare concretamente la precarizzazione del lavoro, la finanziazione dell'economia, l'uso speculativo dei beni comuni che caratterizzano l'attuale fase globalizzata del liberismo di mercato. E' quanto scrivono sul manifesto, in un bell'articolo i compagni Sergio Brenna e Andrea del Monaco. La questione è posta nei termini giusti, e si sollecita in modo deciso ad avanzare un ventaglio di proposte, come piattaforma efficace, nella scena istituzionale, sociale e delle idee, come ha proposto Rossana Rossanda. Occorre iniziare dal lavoro, occorre porsi l'obiettivo di rappresentare il lavoro, e per fare ciò “La Sinistra L'Arcobaleno” deve definire un'analisi critica del capitalismo italiano nella fase della sua globalizzazione. Per fare che cosa? Per creare nuovi posti di lavoro. E da dove si comincia? Da una proposta del sistema produttivo che riposizioni l'industria italiana nella “fascia alta” della divisione internazionale del lavoro, cioè decidere cosa si deve produrre, e su che cosa investire per fare ricerca. Dunque cosa produrre e quale ricerca sono i nodi da sciogliere per una vera politica riformatrice. La politica industriale è consistita, sostanzialmente, da un lato, in incentivi alle imprese per il sostegno dell'occupazione; dall'altro per l'innovazione e il trasferimento tecnologico. Nel primo caso, finite le risorse dell'incentivo, i nuovi occupati si ritrovano precari o espulsi dal ciclo produttivo, nel secondo le imprese hanno, in prevalenza, comprato beni strumentali in Germania e in Francia, facendo lavorare imprese straniere con soldi italiani! Non sembra proprio, che gli assi principali delle politiche industriali, sia dei governi di centro/destra che di centro/sinistra, abbiano prodotto qualche effetto positivo sul versante della qualità del lavoro e dell'innovazione tecnologica dell'apparato produttivo. E' invece prioritario superare il metodo e le politiche dei finanziamenti “a pioggia” per le imprese, abrogare gli incentivi automatici, e definire in alternativa i settori e le filiere produttive generatrici di innovazione, a cui integrare un piano nazionale di ricerca, in modo da poter trasferire l'innovazione frutto delle ricerche finanziate. Una politica selettiva, che sceglie che cosa produrre, che sostiene i settori produttivi ad alto valore aggiunto, ad alto contenuto tecnologico e d'innovazione, che pone le basi per nuove sinergie tra università e centri di ricerca privata, che valuta i risultati e le applicazioni concrete. Il Partito Democratico è egemone nella gestione delle risorse che finanziano le imprese, in Italia e in Umbria, ma non ha una politica industriale selettiva delle filiere virtuose, in Italia e in Umbria: non può averle strumentalmente, poiché le filiere non meritevoli e non più incentivate insorgerebbero, cosa insostenibile per le strutture stesse del PD, e per la somma degli interessi di suo riferimento. Si sono attivate politiche del territorio subordinate alle proposte della proprietà fondiaria, immobiliare, industriale e commerciale, piegando agli interessi congiunturali del mercato gli insediamenti produttivi e la riconfigurazione territoriale, influenzata dalle dismissioni d'uso di ampi comparti di aree Umbre, privilegiando rendite e speculazioni. In questo quadro ad esempio, la VAS (valutazione d'impatto ambientale e sociale) è spesso l'alibi per affossare il ruolo propositivo pubblico rappresentato dalle conquiste storiche del riformismo del centro-sinistra degli anni '60/'70 e si riduce a mero adempimento burocratico che avalla scelte altrui (delle imprese), rinunciando al dovere di proiettare le scelte in un più vasto orizzonte di sostenibilità di lungo periodo. Un obiettivo serio, riformatore forte, è chiudere un quindicennio di politiche urbanistiche e di scelte industriali subordinate al liberismo; “La Sinistra L'Arcobaleno” deve optare per ridare voce non solo alle istanze di miglior qualità ambientale e dotazione di servizi pubblici da parte dei cittadini, ma soprattutto quella di indirizzare le scelte di investimento di lungo periodo, oltre l'immediatezza del riscontro in tempi brevi. Insomma, rilanciare il metodo della programmazione” condivisa con tutti i soggetti produttori, una “programmazione partecipata” a partire dai territori. Condividi