La mostra
Divertente e divertito attore del suo teatro, Giovanni Tommasi Ferroni si cimenta in opere complesse, spesso atti unici, le cui scenografie diventano cornice stupefacente di un contemporaneo barocco.
La sua arte è un crocevia di culture, di epoche e di sentimenti.
È evidente la sua formazione umanistica, come evidente è lo sguardo attento alla storia che stiamo vivendo.
In questa mostra a Palazzo Bontadosi si da spazio alle architetutture, alle cupole, alle facciate, agli altari di stucchi e preziosi marmi colpiti dalla luce. Sfondi immobili di concitate e silenziose presenze: personaggi mitologici, essenze spirituali che, sebbene invisibili all’uomo, diventano visibili in queste sue opere.
Draghi, mostri marini, chimere e fenici, fumi di incensi che prendono forme di entità percettibili.
Una mostra dove poter leggere chiaramente i contrastanti sentimenti di questo artista: il sacro e il profano, la luce e le tenebre, la fede e la religione…
Un percorso figurativo che corre su un binario: il presente e la tradizione secolare di cui è ultimo riconosciuto esponente.
Quattro secoli di storia narrata con i colori a olio.

Andrea Grisanti

L’artista
Giovanni Tommasi Ferroni è nato a Roma nel 1967 da una famiglia toscana di artisti da diverse generazioni. Oltre al padre Riccardo, ricordiamo il nonno Leone, lo zio Marcello (entrambi pittori e scultori di riconosciuto talento), e la sorella Elena, raffinata pittrice con la quale ha esposto in diverse occasioni all’inizio della sua attività.
Sin da bambino dimostra una notevole predisposizione per il disegno e, dopo gli 11 anni, inizia a frequentare lo studio del padre e, in estate, a prendere lezioni di disegno dallo zio nello studio di scultura di Pietrasanta.
Il suo primo quadro lo dipinge a 16 anni, ma la sua vera e propria attività di pittore comincia solo dopo il Liceo Classico, nel 1986, quando inizia a lavorare nell’atelier del padre, studiando contemporaneamente storia dell’arte presso l’Università di Roma “La Sapienza”.
La sua prima personale risale al 1991 presso la Galleria Il Gabbiano di Roma. Il riconosciuto successo lo vede protagonista, negli anni successivi di importanti mostre ed esposizioni a Chicago, Roma, Bologna, Amsterdam, New York, Buenos Aires, Pietrasanta, Ferrara, Lucca, Brindisi, Parma, Torino, Amstelveen, Andria, Francavilla al Mare, Bou Tou (Cina), Positano e Parigi fino alla 54ma Biennale di Venezia.
Nel 2000 viene incaricato di realizzare l’ovale di navata per il Duomo di Pietrasanta (Lucca).
Nel 2003 esegue 100 disegni che illustrano, canto per canto, la “Divina Commedia” di Dante Alighieri.
Nel 2011 è presente a Roma, a Palazzo Venezia, nell’esposizione dedicata ai 150 dell’Unità d’Italia.
Numerose sono le Monografie a lui dedicate a cura di critici di fama internazionale tra cui l’americano Donald Kuspit, la professoressa Maria Censi, Franco Basile, Sebastiano Giordano, Alberto Agazzani e Philippe Daverio il quale nel 2005 gli dedica un servizio all’interno della trasmissione televisiva “Passepartout”.
All’attività di artista ha affiancato quella di insegnante presso il “Rome Center of Liberal Arts” dell’Università “Loyola” di Chicago.
Attualmente vive e lavora tra Roma e Pieve di Camaiore (Lucca).

La critica
[…] Il barocco non esiste come momento della storia ma solo come tappa della storiografia. Non vi possono essere pittori barocchi nel Seicento, ma oggi che la categoria esiste, invece sì. Giovanni Tommasi Ferroni è un pittore barocco, non neobarocco come potrebbe apparire ad un giudizio critico avventato e superficiale. Egli è un pittore barocco perché nato dalla categoria, come capitò ai pittori cubisti o impressionisti che tali diventarono appena ne fu inventato l’appellativo. Egli è doppiamente un pittore barocco perché è pure figlio di un pittore barocco, Riccardo, il quale a sua volta era figlio dello scultore Leone, ovviamente prebarocco. Perché se la categoria esisteva già ormai da oltre un secolo, la sua rilettura in chiave positiva avvenne solo con la geniale interpretazione che degli anni fondativi diede Roberto Longhi. La riscoperta positiva della pittura Caravaggesca e immediatamente al Caravaggio successiva fu evento forse fra i più importanti della critica durante il XX secolo. Non tanto perché faceva giustizia (la giustizia si sa è totalmente inutile al gusto degli uomini) ma perché apriva strade alternativa al formalismo estetico puro dei francesi, quello che gli Stati Uniti stavano per importare come fondamento della loro arte moderna. Si stava legittimando il diritto al patos al di fuori dalle tensioni materiche e coloristiche dell’espressionismo tedesco. Si esaltava la continuità d’un modo di guardare dove solo la pittura, e non la fotografia, forse ogni tanto solo il cinema, offriva il più effervescente dei laboratori. In questo senso uno dei primi epigoni di Longhi fu proprio quel de Chirico divenuto barocco che quando era invece stato metafisico lo stesso Longhi aveva definito come vittima d’un dio ortopedico. Era ad un tratto consentito di abbandonare l’à plat e di tornare alle velature, al disegno, alla preparazione delle tele, all’illusione della rappresentazione. Per la critica ben educata si trattò d’un intollerabile retromarcia verso tempi fortunatamente superati. Per i poeti fu una inattesa scoperta. Una risposta mediterranea al fenomeno in corso del surrealismo. Giovanni Tommasi Ferroni è figlio legittimo di quel cambio di rotta.
Il mondo che viviamo oggi è assolutamente straordinario. Grande il disordine sotto i cieli, quindi eccellente la situazione. Per la prima volta passato e presente si confondono in una unica contemporaneità, generata dal real time del sistema numerico che gestisce l’informazione. Sta mutando la tesi del progresso perenne come via salvifica dell’essere umano, l’idea che tutto sia in perenne fase di superamento. Siamo disposti a convivere con l’eterna bellezza della statua cicladica e capaci di considerare Zeitgenosse, “compagni del nostro tempo”, i muri affrescati di Oplonti e il canestro di frutta dell’ Ambrosiana. Lo stesso arredo in cui siamo destinati a vivere non è più necessariamente disegnato da una progettualità totalizzante e razionalista. Le tende a baldacchino hanno avuto la rivincita. E con loro torna naturale immaginare che possa convivere il centauro di sempre. Siamo sincretisti ed pronti a vedere con sorpresa incantata la Ferrari mentre convive con il drago della nostra immaginazione atavica. Questo è il gioco azzardato che rischia quotidianamente la pittura di Giovanni Tommasi Ferroni, il quale non è affatto un replicante di cose avvenute ma un pericoloso alchimista delle cose che stanno per succedere.

Philippe Daverio
 

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