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Il Cavaliere è quello che conosciamo e, quindi, è possibile che domani possa ridimensionare l’annuncio shock sulla abolizione delle intercettazioni dicendo di essere stato frainteso: fino a quel momento, però, dobbiamo attenerci alle sue parole e valutarne le implicazioni. Divieto assoluto delle intercettazioni dunque, con la benevola esclusione di quelle che riguardano il terrorismo e la criminalità organizzata. Per ciò che riguarda le mafie è abbastanza chiaro che l’esclusione non potrà riguardare tutti quei reati ormai logicamente e legislativamente connessi a questa forma di criminalità, quali il sequestro di persona, il traffico di stupefacenti o la tratta di persone e simili: il Cavaliere non lo avrà detto per brevità, ma non gli si può fare carico di aver esagerato addossandogli una tale ignoranza in materia. Per il resto bisogna dire che la radicale esclusione di tutte le intercettazioni per gli altri reati è abbastanza in linea con la “cultura” della tolleranza zero esercitata con il pugno di ferro per i poveracci e il guanto di velluto per tutti gli altri che tali non sono. Lo stesso dicasi dei cinque anni di reclusione promessi per chi le dispone, le esegue o le pubblica: in questa fase storica del decisionismo il carcere è ormai la sanzione applicabile a chiunque voglia opporsi alle scellerate scelte del governo, dai clandestini ai difensori dell’ambiente o della salute (rifiuti o nucleare) o non voglia la militarizzazione del territorio o le grandi opere (tipo Tav, ponte sullo stretto) ed altro ancora. Certo il salto di qualità è impressionante, dato che fino a ieri si parlava solo di una restrizione dei tempi e dei modi della pubblicazione delle intercettazioni ma non di abolirle completamente. Se dovesse passare la linea del Cavaliere, si otterrebbe una abolizione di moltissimi reati e Calderoli avrebbe già attuato gran parte del suo programma semplificatorio. Resta da capire come reagiranno gli alleati nazional-alleati o leghisti, duri e puri nemici del crimine, ma forse si allineeranno dato che anch’essi si ritrovano bene dentro quella cultura dei due pesi e due misure. Intendiamoci, ci sono altri Paesi (l’Inghilterra per esempio) che con le intercettazioni sono molto cauti e non per questo il loro sistema giudiziario è meno garantista. Lì, però, a uno che è stato prosciolto per prescrizione dalla corruzione della Guardia di Finanza o non vuole adeguarsi alle sentenze della Corte di giustizia europea – tanto per dirne due – non gli farebbero fare il presidente del consiglio: è una vincolo per la tenuta del loro sistema democratico e non è una questione di poco conto. In tale caso il bilanciamento tra la difficoltà di accertare i reati e la responsabilità politica non è a saldo zero. Non c’è dubbio che si debbano porre dei limiti alle intercettazioni e alla loro pubblicazione e che la privacy delle persone – specie se imputati - andrebbe maggiormente tutelata, ma abolirle completamente varrebbe a mettere in braghe di tela la magistratura e, in particolare, a vanificare il principio dell’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge. E già, perché senza le intercettazioni il tasso di impunità andrebbe alle stelle e la stessa lotta al terrorismo e alla criminalità organizzata incontrerebbe nuovi e impensati ostacoli: troppo spesso partendo proprio dai reati minori ci si imbatte in quelli più grandi, tipici delle grandi organizzazioni criminali. Il Cavaliere decisionista ha tagliato con un colpo di spada il nodo gordiano assicurando pace e tranquillità ad una consistente parte del suo elettorato : non a caso la platea confindustriale ha lungamente applaudito il grande annuncio. Colpire i reati minori e lasciare da parte i grandi crimini è stato da ormai troppi anni il messaggio della destra berlusconiana e ne ha costituito senza dubbio un tassello della vittoria elettorale: chiarezza è fatta, se mai ce ne fosse stato bisogno. Condividi