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Sinistra: finito il periodo d’elaborazione del lutto è ora di ripartire. Il neonato governo Berlusconi, nell’attesa di abbattere la scure su petrolieri e banchieri, fa la voce grossa con i clandestini, pensa di risolvere i problemi energetici del paese ripristinando il nucleare, rilancia il Ponte sullo Stretto, studia il modo per togliere il limite di 36 mesi alla reiterabilità dei contratti a tempo determinato e, con lo slogan colpire uno per educarne cento, indica al paese i lavoratori pubblici come colpevoli di tutto ciò che non funziona. L’opposizione parlamentare, leggi Partito Democratico, balbetta un “giudicheremo dai fatti”. Nessuno che accenni alla crisi in cui sono caduti gli strati popolari del nostro paese, crisi che si aggrava ogni giorno di più e a quella dell’economia mondiale, alla sua acutezza ed ampiezza e alle sue ricadute, che peggiorerà ulteriormente le condizioni di vita di lavoratori e pensionati. La Sinistra, assente dalle aule parlamentari, è in ogni caso chiamata a dare risposte ai problemi che oggi il paese si trova di fronte, indicando soluzioni, proponendo una sua autonoma progettualità, incalzando il governo e sfidando l’opposizione parlamentare. Marcando in ciò un punto forte d’autonomia rispetto al Partito Democratico. Bene. Meglio, però, se a farlo sarà una sinistra unita. E’ vero, quanto afferma il segretario di Rifondazione, Stefano Vinti, che la sconfitta della Sinistra e l’Arcobaleno non ha per nulla ridotto la necessità di unire la sinistra. Ma da dove ripartire? Ora è abbastanza chiaro, dopo le diverse reazioni al risultato del 13 e 14 aprile delle forze politiche costituenti la Sinistra Arcobaleno, che occorre mettere nel conto che non tutta la sinistra che ha partecipato a quell’esperienza è ancora oggi unificabile. E forse è giusto che sia così. Dobbiamo metterci alle spalle definitivamente, nel bene e nel male, il secolo passato, il Novecento, le esperienze politiche e le proposte che in quel secolo sono state messe ampiamente alla prova e non hanno saputo superarla. Vinti propone di riprendere l’esperienza delle Case della Sinistra, esperienza di cui l’Umbria è stata antesignana a livello nazionale. E’ giusto, ma non è sufficiente. Di certo non dobbiamo disperdere quel piccolo ma prezioso patrimonio costituito da quei luoghi fisici, le case della Sinistra appunto, nelle quali si è cercato di portare a sintesi esperienze di lavoro comune, iniziative ed elaborazione sviluppatasi nei territori. Questo, però, non basta. E’ necessario provare a muoverci come una forza politica plurale in via di unificazione. Questo significa, lo diciamo per quelli che vorranno provare a farlo, che questo percorso unitario deve avere l’ambizione di definire linee d’analisi comuni sulle grandi questioni dello sviluppo economico e sociale della nostra regione che devono costituire l’ossatura dei programmi per le prossime elezioni amministrative e regionali. Non dobbiamo nasconderci che la visibilità della sinistra nel governo delle maggiori amministrazioni locali e della stessa regione non è stato un modello d’incisività e di condizionamento da sinistra delle politiche effettivamente realizzate. Se L’Umbria e le sue città hanno i segni di uno sviluppo edilizio incontrollato, nelle mani di un manipolo d’imprese che hanno in pratica il monopolio delle aree fabbricabili e che spesso fanno danni visibili al paesaggio e ai beni culturali; se le discariche sono ormai all’esaurimento e minacciano luoghi e popolazioni che andrebbero invece difesi; se gli inceneritori sono sotto sequestro perché sputano nell’aria più veleni di quelli che levano dalle strade; se lo stato delle infrastrutture stradali e ferroviarie è quello di un paese in via di sviluppo; se la vita nelle città si è fatta sempre più pericolosa; se i morti sul lavoro danno all’Umbria un triste primato in Italia; se i morti per overdose e lo spaccio della droga fanno dell’Umbria e di Perugia una delle capitali italiane; se il precariato strutturale supera oggi le sessanta mila unità, su un mercato del lavoro di meno di trecento mila persone; se le retribuzioni in Umbria sono del 10% inferiori al resto dell’Italia del centro nord; se la produttività delle imprese è anch’essa del 10% inferiore a quella del centro nord; se la povertà inghiotte una percentuale della popolazione crescente e superiore ad ogni regione del centro nord è giusto chiedersi se in questo ci sia qualche responsabilità della sinistra politica e dello stesso sindacato. Dobbiamo allora riprendere quel lavoro, che all’apparenza qualche mese fa era patrimonio di tutta la Sinistra Arcobaleno, per realizzare la Conferenza programmatica della Sinistra umbra, almeno della sinistra che ci sta, allargando la prospettiva in due direzioni. La prima direzione, guardando alle prossime scadenze elettorali locali e regionali, è che la Conferenza programmatica non sia un luogo di confronto di idee e posizioni circoscritto ai soli i gruppi dirigenti, più o meno allargati, dei partiti, ma un’occasione per incontrare gli elettori della sinistra e di farli decidere sulle questioni più importanti, facendo un bagno d’umiltà e anche di democrazia. La seconda direzione è che non possiamo escludere nessuno da questo confronto, né quelli che si dichiarano di sinistra “alternativa”, né quelli che si dichiarano di sinistra “riformista”, né quelli che si dichiarano “genericamente” di sinistra, ma non hanno definito ancora la loro collocazione ( e che nel dubbio, finirebbero per votare PD). La discriminante deve essere la volontà di liberarci, ora e subito, dal peso di poteri sedimentati e radicati che tengono in pugno la qualità dello sviluppo dell’Umbria. Nessun nemico tra chi vuole veramente cambiare in meglio. Stessa operazione andrebbe condotta nelle grandi città dell’Umbria, costruendo piattaforme politiche e programmatiche che servano ad individuare idee ma anche donne ed uomini, che rinnovino i nostri candidati nelle imminenti elezioni amministrative. Dovremo sperimentare in queste occasioni modalità nuove di coinvolgimento dei nostri elettori e modalità nuove di scelta dei programmi e dei gruppi dirigenti. Non vogliamo sfuggire al problema della ricostituzione di una nuova coalizione di centro sinistra. La nostra opinione è che, se non viene rimossa dal PD la pregiudiziale dell’autosufficienza di quel partito nelle elezioni politiche nazionali, allora non è possibile che le forze politiche della sinistra siano chiamate a dare sostegni, magari solo dove servono al PD, nelle elezioni locali e regionali. L’esperienza del comune di Roma dovrebbe insegnarci qualcosa. E se questo è giusto allora bisogna prepararsi a questa evenienza sin d’ora, sfuggendo al localismo e a all’opportunismo. Infine, per un dovere morale oltre che politico, dovremo porre all’ordine del giorno la modifica della legge elettorale regionale, a partire dal numero dei consiglieri, per eliminare i rischi che essa contiene, di sovvenzionare solo ceti politici autoreferenziali, come aggi avviene, e non partiti politici realmente rappresentativi. I costi della politica non sono solo quelli delle Camere! Quello che Vinti propone va benissimo. Anzi, cominciamo subito a convocare riunioni e incontri delle case della sinistra esistenti. Va bene, però non basta. Non è sufficiente lanciare un appello “al basso” perché faccia esperienze unitarie, quasi pensando che l’edificio della sinistra unita possa edificarsi tutto e solo dal basso. Non ce se la può fare. Si rischia solo una defatigante ginnastica riorganizzativa. Servono invece segnali univoci anche dall’alto, che vadano in questa direzione, in modo tale che queste esperienze territoriali unitarie trovino una sintesi politica forte che dia il senso del progetto politico complessivo al quale si sta lavorando. Insomma, ha senso rivolgersi agli iscritti e ai militanti, chiedendo loro di spendersi per una nuova esperienza politica e programmatica, solo se questa ha il carattere della costruzione di una nuova forza politica unitaria della sinistra. Cominciare dal basso sì. Cominciare dai militanti e dagli elettori, attuali e potenziali è anche meglio. Ma solo se abbiamo deciso che li chiamiamo non a restaurare un vaso andato in pezzi, ma a modellarne uno nuovo. E’ questo ciò che noi ci ostiniamo a chiamare l’avvio della costruzione (non della ri-costruzione) di una nuova Sinistra. *Sinistra Democratica Condividi