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di Eugenio Pierucci I dati lo dicono: anche in Umbria cresce l’occupazione, ma l’incidenza del precariato diventa sempre più forte. Anzi, da noi ancora più forte rispetto alla media nazionale. La conferma di questo fenomeno, che è ben presente ai sindacati regionali, ci viene dalla lettura dell’ultimo rapporto sulle previsioni occupazionali e i fabbisogni professionali nella provincia di Perugia, redatto da Excelsior per conto della Camera di Commercio. Nell’anno che sta per terminare le assunzioni toccheranno quota 9.030, ma il contratto di lavoro che ha trovato da noi massima applicazione è quello a tempo determinato: ormai ogni due assunti uno deve accontentarsi di un’occupazione cosiddetta “flessibile” che, alla scadenza, non sa se gli verrà confermata. Siamo 8 punti circa al di sopra del dato nazionale (42,6%) e questo poco incoraggiante processo accelera sempre più: nel 2006 eravamo al 44,4%. C’è da stare poco allegri, anche se le prospettive lavorative appaiono per un certo verso incoraggianti, visto che secondo l’Isfol, altro istituto che segue da vicino i trend occupazionali per conto del Ministero del Lavoro, prevede, a livello nazionale una espansione ulteriore del tasso occupazionale. L’Isfol, che la sua relazione al riguardo l’ha consegnata appena qualche giorno fa, sostiene, infatti, che il livello di occupazione registrato in Italia nel 2006 rappresenta un massimo storico per il nostro Paese, sia in termini assoluti (quasi 23 milioni di occupati) che in relazione al tasso annuale di crescita (di poco al di sotto del 2%) e che questa tendenza ha trovato conferma, sia pure con ritmi più lenti, anche nei primi due trimestri del 2007, con una differenza sostanziale, però, riguardo alle ragioni che hanno sostenuto tale dinamica: mentre nel biennio 2004-2005 vi ha inciso prevalentemente la regolarizzazione del lavoro immigrato, ora ha assunto un carattere più strutturale. E così sarà, sempre a parere dell’Isfol, anche negli anni a venire: nel 2009, per esempio, gli occupati totali dovrebbero salire a quota 25,37 milioni, grazie ad un incremento annuo dello 0,8% corrispondente a circa 205 mila nuovi posti di lavoro ogni anno. La maggior parte di questi si creerebbe nel settore dei servizi, dove dai 15 milioni e 711 mila occupati del 2006 si salirebbe a 17 milioni e 295 mila. Ma torniamo al rapporto Excelsior per notare come le donne, più degli uomini, incontrino particolari difficoltà ad inserirsi nel mercato del lavoro, ancor più dei giovani. Andando per ordine, si ha infatti che nella provincia di Perugia la richiesta di lavoro femminile si ferma al 18,2% del totale e che le donne scontano anche condizioni assurdamente discriminatorie nei loro confronti nell’ambiente di lavoro. Il rapporto Excelsior non ci illumina più di tanto a questo riguardo, ma in questo senso ci viene in soccorso ancora l’Isfol, sia pure con riferimenti unicamente nazionali che però si adattano anche all’Umbria. Ad esempio, il 58% delle lavoratrici coinvolte nell’indagine Isfol sulla qualità del lavoro ha dichiarato di non aver mai cambiato occupazione nel corso della propria vita professionale (gli uomini il 50%) ed una su quattro è precaria. Inoltre sono anche esposte a maggiore intensità produttiva, con ritmi di lavoro permanentemente elevati (36,4% contro il 33,4% degli uomini; ritengono di possedere capacità professionali “adeguate” rispetto al lavoro svolto (80,8% contro il 73% degli uomini). Malgrado ciò risulta particolarmente accentuata la loro preoccupazione in merito all’opportunità di “mobilità ascendente”, in altri termini di fare carriera: il 62,55% di esse dichiara la propria insoddisfazione al riguardo (contro il 53,3% degli uomini) e di nutrire scarsa fiducia rispetto alle prospettive future (67,5% contro il 38,3% degli uomini). Uno scetticismo che trova piena giustificazione dalle cifre relative alla loro collocazione professionale. Poco meno del 22% sul totale delle occupate ha ruoli di responsabilità o funzioni di coordinamento o direzione, rispetto al 38,3% degli uomini e si concentrano prevalentemente nelle classi di reddito più basse: si consideri che il 75% delle occupate guadagna meno di 1.250 euro al mese (tra gli uomini il 46,4%). Senza parlare, poi, della maternità che troppo spesso è causa della perdita dell’occupazione: basti considerare che l’Isfol ha calcolato che una donna italiana su nove è uscita dal mercato dal lavoro, nel 2006, come conseguenza di questo evento che dovrebbe essere “lieto”. Nei due terzi dei casi ciò è dovuto alla carenza di cura o assistenza alla prole che le costringe ad abbandonare, mentre per il restante terzo, e la cosa assume connotati ancora più gravi, l’abbandono va addotto a motivazioni contrattuali, ovvero alla decisione del datore di lavoro di sbarazzarsi quanto prima di quello che considera un fardello. Continua, invece, ad essere rilevante la componente femminile nel sommerso, anche se a tale riguardo non vi sono dati certi che ne identifichino la dimensione quantitativa. L’Isfol ha comunque tentato una prima stima dalla quale si ricava che nel 2001 l’occupazione femminile irregolare si attestava a 1 milione e 350 mila unità, corrispondente al 47,7% del totale dell’occupazione irregolare. Volendo essere cinici, e considerato che il numero delle donne che lavorano e di molto inferiore a quello degli uomini, potremmo dire che almeno per questo aspetto la parità fra i generi è stata abbondantemente raggiunta. Da una ricerca sul capo seguita a questa prima stima, si ricava anche che un terzo delle intervistate e costituito da straniere, soprattutto extracomunitarie (36,2%), il 18% delle quali non ha permesso di soggiorno, mentre il 9% non ha risposto a questa domanda. La logica ci dice perciò che per circa il 27% di queste donne la condizione di illegalità nella residenza costituisce l’ostacolo maggiore al loro passaggio ad un’occupazione regolare e per contro la mancanza di un’occupazione regolare ostacola il loro passaggio ad una situazione di legalità residenziale. Siamo al più classico serpente che si morde la coda, una situazione per davvero paradossale che ci è stata regalata da quel capolavoro giuridico che è la Bossi-Fini. Infine, quanto alla durata dell’occupazione in nero, si ha che più del 50% svolge lavoro irregolare da oltre un anno e che solo per il 21% ha carattere saltuario. Il lavoro irregolare femminile costituisce, quindi, una domanda strutturale permanentemente del mercato del lavoro italiano e per molte delle donne che vi cadono si configura come una sorta di “trappola del sommerso” nella quale rischiano di restare invischiate per sempre. Condividi