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Fausto Bertinotti, candidato premier della Sinistra Arcobaleno, ha rilasciato a Simone Collini, per conto de l’Unità, una interessante intervista che riproponiamo integralmente per i lettori di Umbrialeft. Scrive Giovanni Sartori sul Corriere della Sera che lei è rientrato nella mischia elettorale più cattivo che mai. “Sono categorie psicologiche da cui ritengo lontano”, dice il presidente della Camera e candidato leader della Sinistra arcobaleno Fausto Bertinotti. Stiano allora all’essenziale: Sartori contesta il suo predicare la guerra tra sfruttatori e sfruttati. “E io contesto la tesi sostenuta da Sartori, secondo la quale il punto fondamentale è la crescita, la formazione della ricchezza, perché altrimenti crolla l’intera impalcatura. Questa idea è stata contraddetta non solo da Marx, ma da Keynes. E come ha spiegato uno dei più grandi economisti italiani, Claudio Napoleoni, è proprio l’aumento dei salari a determinare una necessaria frusta sull’economia, altrimenti ripiegata dal peso della rendita. Livelli salariali alti determinano una scossa sul sistema delle imprese affinché battano non la strada pigra del vantaggio competitivo ma quella dell’innovazione, della ricerca, dell’aumento della produttività non attraverso lo sfruttamento del lavoro”. E’ una teoria minoritaria. “Non è vero. Negli anni 70 non è stato così. Per un intero ciclo, dal ’68-’69 fino a tutti gli anni 70 proprio il paradigma dello sfruttamento è stato messo in discussione non da questa o da quella teoria ma dalla pratica sociale. Tanto è vero che le retribuzioni italiane erano diventate tra le più alte d’Europa”. Oggi non è così “Hanno vinto i liberisti, speriamo che perdano. Appunto, è una lotta di classe”. Cone si vincono i liberisti? “Modificando i rapporti sociali. Esattamente come accadde negli anni 70”. Sartori domanda: che facciamo degli sfruttatori? “Li rendiamo meno sfruttatori”. Come? “Gliel’ho detto, mutando i rapporti sociali, La storia industriale, come spiegano diffusamente i sociologi americani, è la storia del conflitto. Quelli che non la definiscono lotta di classe la definiscono contesa industriale. Ha al suo centro le politiche redistributive, visto che l’espressione dei rapporti sociali è data dal rapporto tra salario, prezzi e profitto. Quando i lavoratori sono forti cresce il salario, quando gli imprenditori sono più forti di loro cresce il profitto e cala il salario. Il salario registra i rapporti di forza”. Le politiche economiche in tutto questo? “Naturalmente i padroni, gli imprenditori, sono favoriti se i governi sono di ‘laissez faire’. Invece i lavoratori sono favoriti se ci sono governi interventisti, che usano anche il fisco al fine di una migliore redistribuzione”. Il governo Prodi se lo aspettava più interventista? “Molto, certo. Lo abbiamo iniziato a dire da giugno”. Perché non lo è stato, secondo lei? “Per le sinistre divise all’interno del governo, per il ricatto delle forze moderate e anche per un pilotaggio del governo tutto indirizzato all’accordo tra le parti sociali e quindi ad attribuire un peso alla Confindustria superiore a quello che avrebbe potuto avere”. Con il prossimo governo le sinistre saranno unite ma verosimilmente staranno all’opposizione “Vedremo, ne riparleremo dopo il voto”. Nel senso? “Chela destra può perdere” Quindi non esclude un accordo della Sinistra arcobaleno con il Pd? “Noi pensiamo che staremo all’opposizione, ma ci sono molti modi di stare all’opposizione”. Dice che la Sinistra arcobaleno può influire anche da questa posizione? “La storia del dopoguerra in Italia è la storia dell’influenza dei partiti della sinistra all’opposizione. Hanno ottenuto molto più che non stando al governo. Pensi allo statuto dei diritti dei lavoratori, alla riforma sanitaria, alla chiusura dei manicomi, alla riforma pensionistica che dava ai lavoratori l’80% della retribuzione, alla legge sull’aborto, sul divorzio e tutte le conquiste realizzate dal Partito comunista all’opposizione”. Era diversa la società “No, c’era una sinistra molto più forte”. Come si torna a una sinistra forte “Ricominciando un cammino con pazienza. La sinistra deve tornare ad essere consapevole che il tempo della semina è diverso dal tempo della raccolta”. A proposito di semina: non pensa che la Sinistra arcobaleno potesse fare di più con le candidature, mettere in lista più personalità esterne ai quattro partiti fondatori? “Assolutamente sì. Avrebbe potuto fare molto di più se fosse stata un fenomeno compiuto. Purtroppo le elezioni hanno beccato questo processo all’inizio ed è prevalsa una logica federativa, cioè dell’accordo tra i partiti. Cosa che la Sinistra arcobaleno dovrà superare. E che sono sicuro che farà, perché il suo destino non è quello di essere un cartello elettorale, ma quello di essere un nuovo soggetto politico unitario e plurale che vada al di là dei quattro partiti”. Per lei che ruolo prefigura, dopo il voto? “Quello di partecipe a questo processo, senza alcun incarico di direzione”. L’obiettivo di medio termine della Sa? “Avere una massa critica che consenta di intervenire sulla formazione del senso comune”. Dopo il voto giocate sulla contesa tra Pd e Pdl? “Il bipartitismo rappresenta una grande questione democratica. C’è un vestito totalmente incongruo con le cultura politiche del paese che si vuol far indossare a un corpo non in grado di sopportarlo. Se si prosegue su questa strada o si straccia il vestito o si producono delle tensioni difficilmente governabili democraticamente”. Che vuole dire? “Primo: senza la sinistra si depriverebbe di rappresentanza una parte importante della società italiana. Secondo: pensare che si possa fare un deserto nella rappresentanza politica vuol dire condannarsi all’idea che forze che esprimono disagio prenderanno la forma di antisistema. Ogni tentativo di drogare la realtà per imporre un esito innaturale come il bipartitismo dovrebbe essere guardato con molta preoccupazione da chiunque abbia un minimo di vocazione democratica”. Chi è che droga la realtà? “Non ci sono macchinazioni, ma c’è una cultura di fondo, una grande onda che la sinistra dovrebbe riuscire a spezzare. E che vedo in un’operazione massmediatica costruita con grande potenza di mezzi. Chiunque guardi con animo sgombro da pregiudizi un telegiornale o un grande quotidiano vede che è come se la competizione fosse a due. A due più delle frattaglie. Così si produce volutamente un effetto distorcente sulla campagna elettorale”. L’obiettivo, secondo lei? “Una riforma che non si è avuta la forza di realizzare per via istituzionale. C’è una cultura di riferimento che spinge verso la riduzione della politica al duopolio e verso una logica personalizzata e presidenzialista. Questa cultura è prevalente nelle classi dirigenti, ed è la stessa che ha un’attitudine alla grande coalizione”. Il nesso? “C’è una propensione delle classi dirigenti a riproporre il pensiero unico duramente incrinato dai fatti, visto che la globalizzazione doveva essere portatrice di magnifiche sorti e progressive e invece porta guerre, disuguaglianze, adesso anche la recessione. E’ un po’ traballante l’edificio apologetico, ma proprio per salvare il salvabile si pensa alla grande coalizione. In modo che il conflitto venga espulso e quindi malgrado la smentita dei fatti possa essere continuata una manovrabilità che non metta in discussione l’essenziale, cioè il primato della competitività cos’ com’è”. Condividi