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di Isabella Rossi Se in epoca romana il ponte Felcino, costituiva già un importante passaggio per i mercanti diretti verso le coste dell’adriatico, nel medioevo lo sviluppo urbanistico di Ponte Felcino, ruotò tutto intorno al ponte, in prossimità del quale si trovano la chiesa e la piazza, e al fiume Tevere. Il centro abitato acquisì la sua denominazione dal nome del ponte, sull’origine del quale sono state avanzate diverse ipotesi. La più attendibile pare quella che riconosce nel nome Felcino una deformazione volgare di Felicissimo, nome del santo patrono del paese, che la tradizione vuole lapidato in prossimità del fiume nel 761. In epoca medioevale l’agglomerato spontaneo in zona pianeggiante non era cinto da mura. E le case, con il tempo, si sono dipanate lungo le principali direttrici viarie strette fra il fiume e le sovrastanti colline. Nell’agosto del 1370 transitarono sul ponte Felcino le truppe papali dirette a Perugia, mentre nel 1377 fu varcato dal capitano di ventura Giovanni Acuto, a capo del suo esercito di mercenari. Nel 1432, come attestano i primi documenti scritti sul ponte, la struttura fu seriamente danneggiata dalle abbondanti piogge e il consiglio generale di Perugia ne deliberò un restauro che, tuttavia, non fu sufficiente. Così l’anno successivo venne incaricato Bartolomeo Mattioli di Torgiano, valente costruttore, già impegnato nella realizzazione della facciata est e del relativo portale del duomo di S. Lorenzo, e in seguito dello splendido palazzo dell’Università Vecchia, ora sede del Tribunale di Perugia, di ricostruire il ponte ex novo. Il ponte del Mattioli era costituito da un arco maggiore a tutto sesto, che misurava novantadue “piedi perugini” e da due archi minori; l’arco maggiore era un’opera tanto sorprendente architettonicamente che nel Giugno del 1819 l’imperatore d’Austria Francesco I, in quei giorni di passaggio a Perugia insieme alla sua consorte Carlotta Augusta e alla figlia Carolina, volle recarsi a visitarlo. Il 17 Giugno del ’44, durante la seconda guerra mondiale, i genieri dell’esercito tedesco in ritirata fecero infatti saltare il ponte medioevale. Nel dopoguerra, tuttavia, su incarico del Genio civile di Perugia, l’ing. Sisto Mastrodicasa e l’arch. Pietro Frenguelli redassero un progetto per il nuovo ponte, che prevedeva l’utilizzo del pilastro centrale rimasto intatto e l’impiego dei conci in pietra. Fu così che il pilone minore, anch’esso non danneggiato delle esplosioni, venne demolito ed ancora oggi sembra, si possano scorgere, quando il livello dell’acqua è basso, le pietre antiche che ne costituivano il basamento. Condividi