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di Isabella Rossi Sono passati 581 anni da quel 20 marzo in cui Matteuccia di Francesco, abitante in Ripabianca di Deruta, venne condannata sulla piazza di Todi al rogo. Su di lei gravavano ben trenta capi di imputazione, riconducibili, secondo il tribunale laico che la giudicò, ad un unico comun denominatore: la stregoneria. Il processo di Todi, avvenuto nel 1428, sancisce l’introduzione nell’immaginario collettivo del protipo della strega. Arrestata e sottoposta a processo perché reputata, per “pubblica fama”, donna di cattiva condotta e reputazione, pubblica incantatrice, fattucchiera, strega (qui il termine è usato per la prima volta in un processo) e maliarda, Matteuccia è la strega per antonomasia. E’ definita incantatrix perché guarisce ricorrendo a numerosi carmina accompagnati da gesti. E’anche fatuchiaria e maliaria, perciò sa togliere fatture e malie. E’ una domina herbarum e una taumaturga, cioè sa curare le malattie del corpo, del capo e di altre membra in presenza del paziente o di un oggetto che gli appartiene. A lei si rivolgono donne che vogliono interrompere una gravidanza. Tuttavia la sua specializzazione sono i “problemi relazionali”. Con rimedi di magia erotica insegna alle donne sue clienti come farsi amare dai mariti che le trascurano, che sono aggressivi o le picchiano. All’epoca del suo processo Matteuccia è famosa e potente. I suoi clienti arrivano anche da lontano e sono tanti. Non soltanto contadini e persone provenienti dai ceti più umili ma anche personaggi di un certo rango, tra cui un uomo alle dipendenze del famoso condottiero Braccio da Montone. Con le sue formule, i suoi segni e riti, unguenti e filtri la donna “incanta” tutta l’Umbria, specialmente Todi, Orvieto e Perugia. Fino a quel momento le sue attività “magiche” sono prive di quella connotazione diabolica che gli verrà attribuita al processo di Todi. Sottoposta a tortura la donna confesserà di aver compiuto, trasformata in gatta, a cavallo di un demonio sotto forma di capro, un volo magico al noce di Benevento. E di aver "sugato" sangue di bambini a Montefalco, Todi, Perugia e Orvieto. Cioè proprio nei luoghi di provenienza della sua clientela abituale. Ad ispirare tale motivo, che appare per la prima volta in un processo, un predicatore, San Bernardino da Siena, citato nella carte processuali e che due anni prima aveva tenuto un ciclo di prediche a Todi, Montefalco e Spoleto. Con ogni probabilità, vista la sua documentata avversione per le “incantatrici”, il predicatore aveva anche attirato l’attenzione sulla potente signora. Oltre ad aver introdotto il termine "strega" sempre San Bernardino, in una predica del 1427, aveva parlato per la prima volta di Benevento come città un cui si sarebbero svolte “riunioni notturne di esseri stregonici”. La leggenda del noce come albero malvagio, invece, ha origine antiche ricollegabili ad una falsa etimologia, la derivazione del nome dal verbo latino "nocere", nuocere. Il motivo delle streghe mangiatrici di bambini, tratto dalla letteratura classica (le lamie nell’Ars poetica di Orazio, le striges nei Fasti di Ovidio) e quello del volo al noce di Benevento, uniti alle testimonianze delle demonizzate arti magiche delle guaritrici, costituiranno d’ora in poi una miscela esplosiva nei processi per stregoneria dove, in tutta Europa e nel “nuovo continente” migliaia e migliaia di donne innocenti perderanno la vita perché costrette con la tortura a confessare quelli che, suggeriti dagli inquisitori, diventeranno gli stereotipi della stregoneria. L’odio contro le guaritrici sciamaniche, fomentato dai sermoni, verrà abilmente manovrato per distogliere uno scontento popolare già precedentemente confluito in forme di ostilità contro il potere delle Chiesa e delle autorità governanti. Condividi