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di Isabella Rossi Jenin, Sarajevo, Kabul, Tel Aviv. Srebrenica, Istanbul, Gaza, Beslan. Baghdad, Bentalha, Kigali (Rwanda). Corpi trapassati da pallottole, umiliati, straziati dalla guerra si sdoppiano, triplicano, si moltiplicano in centinaia di fotogrammi che rimandano tutti agli stessi attimi di morte. Quando il corpo fragile si abbandona, perde materia e volume, si fa morbido, scivoloso, inerme. A Jenin un uomo senza gambe. Trasporto di cadaveri a Tel Aviv. L’assedio di Srebrenica finisce in agonia. Mani protese a Kabul. Schiene nude sotto il tiro delle armi. Un corpo decapitato rimane a terra. Atri cadono e vengono ammassati. Sono solo brevissimi istanti affioranti alla coscienza dal magma della quotidianità dei mondi perfetti. Quelli dove la guerra non è realtà. Dove non è caos, non è disperazione. Ma la percezione delle suggestioni di morte, danzate su musica barocca e prive di ogni facile pathos, è più forte che mai nelle 11 coreografie di Virgilio Sieni. E non è un paradosso. Il caos diventa tanto più evidente quando si confronta con l’ordine. Le perfette architetture delle Sonate di Bach, nella loro squisita puntualità, sono resistenti a qualsiasi condizionamento esterno. Nessun grido di dolore, nessuno strazio, nessun supplizio. Sembra non ci sia strage, massacro o carneficina che possa interrompere l’ “ordine” delle percezioni umane, perfettamente incastrate in un gioco di rimandi. Ma la danza può farlo. Con un linguaggio che parte dal gesto e al gesto ritorna, come dimostra Sieni in "Sonate Bach di fronte al dolore degli altri", la danza può restituire in certi casi vitalità a percezioni come parole e immagini non saprebbero fare. Lo spettacolo, andato in scena venerdì scorso al Teatro Mengoni di Magione, ha entusiasmato un nutrito gruppo di appassionati. Condividi