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di Claudio Fondelli E’ di questi giorni l’annuncio del governo di voler rilanciare il Piano delle Grandi Opere. Un piano di circa 16 miliardi di euro, con il quale si sostiene di dare risposta alle carenze infrastrutturali dell’Italia ed al tempo stesso rilanciare l’occupazione. Ma al di là delle affermazioni ridondanti a cui questo governo – ma più in generale la politica dei salotti televisivi – ci ha abituati, oltre tanta enfasi, difficilmente un piano così congegnato potrà portare effettivi benefici, sia alla rete infrastrutturale che ai livelli occupazionali. Non sono un economista e neanche un esperto della mobilità ma basta un po’ di buon senso (nel mio caso accompagnato da una ventennale esperienza nell’ambito tecnico, nel settore edilizio-urbanistico) per comprendere che alcune opere puntuali, per quanto importanti, non incideranno significativamente sulla qualità della vita della popolazione, stante l’oramai diffuso livello di scarsa manutenzione che caratterizza le infrastrutture nel loro complesso (sarà inutile poter – ad esempio – percorrere velocemente un tratto intermedio di un ipotetico percorso, grazie alla nuova grande opera realizzata, quando poi si avranno sempre maggiori difficoltà a coprire i restanti 9/10 dello stesso, causa il suo deteriorarsi progressivo) e neanche sui livelli occupazionali perché, Corte dei Conti “docet”, proprio nelle grandi opere pubbliche si concentrano i maggiori sprechi e la corruzione (più grande è l’opera e maggiori sono le risorse, sub-appalto dopo sub-appalto, disperse per foraggiare le tante figure intermedie, oltre le “bustarelle” per favorire l’assegnazione degli stessi), corrispondendo per l’opera pubblica - nella larga maggioranza dei casi - importi significativamente maggiorati rispetto al valore della stessa e sprecando così buona parte della sua potenziale capacità di sostegno al settore edilizio (ed anche di qualificazione/potenziamento delle reti infrastrutturali). Un piano, quello dell’attuale governo, che dunque deve essere necessariamente ed efficacemente contrastato nelle sedi istituzionali e nel paese, con la protesta e soprattutto avanzando – sinistra e opposizione tutta (sono certo che il Partito Democratico sia tutt’altro che insensibile su tale tema) una proposta alternativa. A mio avviso si dovrebbe contrapporre all'iniziativa del governo, un Piano delle Piccole e Medie Opere, proponendo di impiegare le stesse risorse per un processo di manutenzione e riqualificazione diffusa delle reti infrastrutturali esistenti (senza rinunciare alle grandi opere, che conservano una loro utilità intrinseca, ma demandandole ad una seconda fase quando la rete infrastrutturale esistente sarà efficiente; rappresentando tale condizione il presupposto necessario affinché le grandi opere possano esprimere effettivamente i risultati attesi), su tutto il territorio nazionale e demandando agli enti territoriali la loro attuazione, secondo uno schema di ripartizione delle risorse come quello di seguito ipotizzato. Un primo livello di ripartizione legato alla distribuzione delle risorse per ambito territoriale. Tale ripartizione dovrebbe rispondere a criteri che prendano in considerazione sia la distribuzione territoriale della popolazione che quella delle infrastrutture, oltre che il loro stato di conservazione. A titolo esemplificativo si potrebbe ripartire le risorse tra le varie regioni nella misura di 1/6 proporzionalmente alla popolazione residente, di 2/3 proporzionalmente alla quantità di infrastrutture esistenti (strade, reti ferroviarie, metropolitane, parcheggi, aeroporti, porti, etc.) e di 1/6 proporzionalmente al loro stato di manutenzione (in misura decrescente dalle più carenti alle più efficienti). Un secondo livello di ripartizione, una volta determinata la ripartizione territoriale (su base regionale), legato alla distribuzione delle risorse per ambito di competenza. A titolo esemplificativo si potrebbe ripartire le risorse tra i diversi enti territoriali nella misura di 1/9 agli enti nazionali presenti sul territorio (con il vincolo di investire la somma all’interno dell’ambito regionale a cui sono state assegnate le risorse oggetto di ripartizione), di 2/9 alla Regione, di 2/9 alle Province e 1/3 ai Comuni, oltre ad un accantonamento di 1/9 da assegnare proporzionalmente alla qualità dei progetti presentati (in misura crescente dal progetto di sola manutenzione a quello di maggiore innovazione, sostenibilità ambientale e risparmio energetico). Un piano così strutturato potrebbe effettivamente rappresentare uno strumento di sostegno all’occupazione, in particolare a favore delle MPI del settore edile così diffuse sul territorio nazionale e che rischiano di pagare il prezzo più alto della crisi in corso, oltre a incidere positivamente sulla qualità della vita di tutti i cittadini che vedranno migliorate le condizioni dell’ambiente fruito (vedasi per tutti i crescenti disagi degli abitanti di Roma a causa del pessimo stato della viabilità) e contestualmente diminuite le probabilità di restare coinvolti in un incidente (causa frequente di essi è la pessima condizione delle reti infrastrutturali) e restituire dignità e capacità decisionale agli enti locali (dunque, alle comunità che li abitano), così compromesse dai numerosi tagli dei trasferimenti statali e dalla sostanziale abolizione dell’unico tributo di carattere locale: l’Ici. Condividi