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A demolire l'ottimismo di facciata del governo Berlusconi circa la situazione dell'economia italiana in relazione alla crisi finanziaria che sta mettendo a dura prova tutti i Paesi più sviluppati (siamo messi meglio degli altri; le nostre banche e le nostre imprese sono più solide; ne usciremo prima e meglio degli altri: queste alcune incaute affermazioni che abbiamo sentito in questi giorni uscire dalla bocca del premier e del suo ministro del Tesoro) sono arrivate oggi, una di seguito all'altra, due notizie che lasciano invece ben poco spazio alle facilonerie e che ci fanno comprendere come ad una situazione che si sta facendo sempre più seria occorrerebbe rispondere non solo a parole, ma con l'adozione urgente di misure altrettanto ed ancor più serie. La prima malanovella ce l'ha fornita il Ref, istituto di ricerca che ha fatto queste poco allegre previsioni per il biennio 2009-2010: ci sarà una contrazione del pil pari al 2,5% quest'anno (le ultime stime a livello europeo si erano fermate al -2%) e dello 0,1% l'anno prossimo. Ma non basta perché, sempre stando al Ref, dopo l'annuncio parzialmente buono che calerà anche la crescita dei prezzi al consumo, che aumenteranno dell'1,3% nel 2009 e dell'1,7% nel 2010, cosa tipica dei periodi di recessione (parzialmente buono perché ciò non vuol dire che i prezzi diminuiranno, ma solo che la dinamica degli aumenti subirà un rallentamento temporaneo), abbiamo che l'indebitamento netto rispetto al pil salirà al 3,9% nel 2009 e al 4,5% nel 2010 con un rapporto debito pil che potrebbe sfiorare il 112% nel 2010. Tutto questo quando ancora quasi nulla è stato speso per contrastare la crisi. E' vero, Berlusconi ancora ieri si è lasciato andare a promesse mirabolanti, assicurando che sono disponibili 40 miliardi di euro da mettere sul mercato, ma su quando ciò avverrà, e come, ha detto poco o niente. Siamo quindi agli annunci ad effetto, tanto è vero che il Ref si spinge a dire che "L'economia italiana condivide le tendenze dell'economia mondiale con qualche vantaggio, legato al minore grado di indebitamento delle famiglie, e qualche svantaggio, legato all'assenza di un'azione di politica di bilancio". Più chiari di così! E per chi non volesse intendere ha aggiunto: "la scelta del Governo di non adottare misure discrezionali si inquadra in un contesto in cui il deficit tende di per sé a portarsi sopra il 4% del Pil, ma dovrà comunque essere messa almeno in parte in discussione viste le probabili conseguenze sociali della recessione, soprattutto a seguito dell'aumento della disoccupazione". Tanto più che i risultati della previsione per l'Italia - conclude l'istituto - "tendono a mettere in evidenza una certa riduzione del divario di crescita con il resto dell'area euro, ma questo risultato è tutt'altro che certo. Difatti - viene sottolineato - "la crisi internazionale ha colpito in Italia un'economia che già risultava più debole delle altre; ne consegue una situazione problematica anche dopo il difficile passaggio congiunturale che stiamo attraversando. Se già prima della crisi le stime della crescita potenziale dell'economia italiana non arrivavano all'1,5%, le opzioni che si aprono adesso conducono facilmente a risultati ancor più modesti". La seconda scoppola, che ci conferma in pieno la prima, ci è venuta, invece, da Unioncamere, secondo la quale l'imprenditoria italiana è cresciuta ancora nel 2008, ma ad un ritmo fortemente rallentato poiché l'incremento del numero delle imprese e' il piu' modesto dal 2003. Sono i dati della rilevazione trimestrale su natalita' e mortalita' delle imprese condotta da Infocamere. Le imprese sono aumentate di piu' al Centro (+1,2%) e nel Nord-Ovest (+0,9%). Nel sud la crescita (+0,32%) e' stata la meta' della media nazionale. Fermo il Nord-Est (+0,06%). Condividi