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di Isabella Rossi Troppe anomalie nella scena del crimine. Per la dottoressa Roberta Buzzone, psicologa forense e criminologa è stato messo in atto un depistaggio nella villetta di Compignano in cui venne uccisa Barbara Cicioni, madre di due bambini, all’ottavo mese di gravidanza. La criminologa, consulente del Telefono Rosa, parte civile nel processo per l’omicidio Cicioni, si è servita per la sua ipotesi ricostruttiva di dati statistici ma anche dello studio attento di tutte la analisi già effettuate e agli atti nel processo in corso. Come già avvenuto per le investigazioni condotte dal Rac, il reparto analisi criminologiche, e presentate dal colonnello Manzi, si esclude anche in questo caso ogni intento appropriativo. Non solo per i monili, il denaro e gli altri effetti di valore ignorati. Per l’orario della morte avvenuta non più tardi delle 23,30, in un momento in cui le famiglie del borgo erano ancora sveglie e attive in quella calda sera di tarda primavera. E’ proprio il caos inscenato per sviare i sospetti dall’autore del delitto, secondo la psicologa, a fornire elementi chiave sull’assassino di Barbara. Non c’è devastazione, nessuna distruzione. Anche i cassetti vengono rovistati in maniera discreta. Di due casseforti ne viene individuata una, il quadro che la celava viene deposto gentilmente a terra. Nessun altro quadro viene spostato dai muri dell’abitazione. Ma l’attività di ricerca di un ladro assassino, assicura la criminologa, è di ben altro tenore. L’offender in quella che dovrebbe essere stata una corsa contro il tempo non cerca, si limita a spostare semplicemente gli oggetti e non apre la cassettiera verde, dove si trovano esclusivamente indumenti ed oggetti della nascitura. Un’ulteriore inquietante particolare fornisce, tuttavia, più precise indicazioni sull’autore dell’omicidio. In camera da letto il comodino del marito della vittima non viene nemmeno aperto. L’offender, in sostanza, evita spazi ed oggetti di pertinenza esclusiva di Roberto. Il suo è un atteggiamento conservativo e non lesivo, del tutto incompatibile con qualsiasi profilo psicologico di un ladro o comunque di un estraneo al nucleo familiare, compreso quello di uno psicopatico. E poi c’è il cappello, da cui Roberto non si separa mai quando esce e che quando rientra lascia in cucina. Quella notte il cappellino da baseball rimane appeso al letto. La sera del 24 maggio Barbara gli aveva fatto la ceretta alla schiena, l’infermiera Urli del 118 al suo arrivo sente ancora forte il profumo di Roberto. Con ogni probabilità, afferma la criminologa, il marito di Barbara Cicioni si stava preparando per un incontro galante. Ed è stato lì che è scoppiata la lite finita con un principio di strozzamento ed il soffocamento di Barbara avvenuto sopra il letto. E’ lì che la giovane marscianese ha perso la vita mentre l’aggressore, secondo Roberta Buzzone suo marito, le teneva premuto sul volto un cuscino per un tempo che va da un minimo di tre ad un massimo di dieci minuti. Il cadavere poi è stato spostato e disteso a terra in posizione prona. E’stato allora che il cappellino da baseball, probabilmente caduto, è stato raccolto e appeso dalla parte del letto del suo proprietario. Nel corso della stessa udienza è stato sentito anche Bosco Sakaya, marito della ragazza che aiutava Barabara nei lavori domestici, entrambi dello Sri Lanka. Da un'intercettazione di una conversazione è emersa la conoscenza del signor Bosco delle circostanze della morte di Barbara. Parlando con la sorella la sera del 25 maggio egli ribadiva che la Cicioni era morta per soffocamento attuato con cuscino. In aula ha riferito di avere appreso tutto da chiacchiere di paese. Il processo riprende domani con l’esame dell’imputato. Condividi