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di Isabella Rossi Stanno bene ora i bambini a più di un anno e mezzo da quel terribile giorno che ha sconvolto prematuramente la loro vita. Alla loro ripresa ha giovato la lontananza da un ambiente dove il ricordo della mamma è ancora vivo e dove il processo in corso fa notizia sui giornali. Ma soprattutto ad aiutare i bambini è stata la famiglia affidataria, quella degli zii di Roma, composta dal fratello della nonna Pierfrancesco Pangallo, da sua moglie e dai cuginetti di undici e tredici anni. “I bambini si sono inseriti bene” ha riferito il professore. Prima di approdare a casa degli zii i due figli di Barbara e Roberto erano stati temporaneamente affidati dal tribunale ad una casa famiglia e questo, secondo lo psichiatra, è stato un errore, i continui spostamenti hanno sottratto ai bambini il senso di sicurezza e di stabilità di cui tanto avrebbero avuto bisogno a seguito di un evento doppiamente traumatico. Non solo la morte della mamma, di cui vennero informati a qualche giorno di distanza ma, sotto consiglio dello psichiatra, i due bambini appresero a tempo debito anche dell’altra dolorosa verità: era il papà che veniva accusato di aver commesso l’omicidio. Cancrini consigliò, infatti, di dire ai bambini che “sarebbe stato il processo a giudicare o spiegare se il padre fosse o meno colpevole dell’omicidio”. Da allora con il padre solo contatti epistolari. Circostanza incomprensibile per l’avvocato della difesa, Luca Gentili, che ha chiesto al professore, per quale ragione Roberto non possa rapportarsi con i suoi figli. “La decisione è del Tribunale dei Minori”, ha replicato il professore, “ma anche a mio parere è meglio che sino alla fine del processo non ci siano contatti”. Il dubbio, legato alla morte della madre, risulta infatti essere traumatico. “E’ impossibile pensare che gli possa far bene ascoltare il padre, ha sottolineato il professore” “E la tutela dei bambini”, dice la nonna Simonetta Pangallo che continua a far visita ai nipoti a Roma, “è la cosa che ci sta più cuore”. Che il rapporto con il padre sia ora conflittuale lo si evince da un altro particolare riferito da Cancrini: “Se arrivano lettere del padre le mettono subito in un cassetto”. I bambini parlano del padre il meno possibile e le domande sul rapporto tra i genitori li imbarazzano. Inoltre i bambini dissero allo psichiatra di non avere più piacere di incontrare neanche i parenti di Compignano. Lo stato d’animo dei due piccoli il professore lo descrive con una parola: attesa. Che la cosa finisca e che qualcuno fornisca loro una spiegazione. In sostanza Nicolò e Filippo non vogliono e non devono essere coinvolti in circostanze che potrebbero aggravare il loro profondo senso di disagio. Altra circostanza confermata da Cancrini è il racconto che Nicolò gli fece di quella notte. Venne svegliato dalla zia, la portafinestra era chiusa, la casa in ordine. Ma il bambino sta meglio quando a quella notte non ci pensa, quando non ne parla. Troppo grande è il peso da portare, quando ad essere coinvolti sono i punti di riferimento di ogni bambino, i genitori stessi. E' per questo che i due fratellini devono ora poter continuare a costruire quella serenità indispensabile alla lor crescita. E dopo un anno di terapia, dunque, ci sono buone notizie legate ai due figli di Barbara e Roberto: “I bambini possono elaborare il trauma” ha riferito lo psichiatra che è anche direttore scientifico del Centro di Aiuto al Bambino Maltrattato e alla Famiglia “grazie anche all’ambiente familiare estremamente positivo che hanno trovato”. Condividi