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La crisi economica e finanziaria internazionale è una cosa serie ed in questo ambito quella italiana, aggragavata com'è da un debito pubblico eccezionale, lo è ancora di più, per cui dobbiamo affrontarla con strumenti altrettanto eccezionali. Questo lo ha ben capito la Cgil che l'adozione di idonei strumenti va invocando da tempo. Misure ben diverse dai regali graziosamente concessi agli imprenditori come nel caso di Alitalia, o alle banche in difficoltà, dalle quali non si è neppure preteso il contenimento dei benefit concessi ai loro manager. Altri Paesi più avvertiti del nostro lo stanno facendo con maggiore serietà, a partire dagli Stati Uniti, dove tutto questo ambaradan ha preso il via, me anche dall'Inghilterra dove, ad esempio, il governo Brown, ha messo in piedi una profonda manovra di redistribuzione della ricchezza basata su due capisaldi: da un lato il rialzo dell'aliquota fiscale dal 40 al 45% a danno dei redditi più elevati, per racimolare le risorse necessarie per rimettere in moto il processo economico, dall'altro la riduzione dell'Iva dal 17 al 5% per abbassare i prezzi, soprattutto quelli al consumo. Va detto per chiarezza che non sono queste le misure invocate dalla Cgil per il nostro Paese, poiché il maggiore sindacato italiano - tanto pericoloso agli occhi di Berlusconi che non lesina sforzi nel tentativo di metterlo in ginocchio, spaventato oltre modo dal fatto che questo non intende piegarsi ai suoi diktat, nonché dalla pervicacia con la quale, in considerazione della nostra diversità nazionale, è intenzionato a realizzare, anche attraverso lo sciopero generale, i suoi fini (non va dimenticato che l'Italia si trova nel pieno di una profonda fase recessiva contrassegnata da una forte crescita della cassa integrazione e della disoccupazione) - del piano di Gordon Brown condivide sostanzialmente solo la filosofia che lo ha ispirato che è poi quella di andare a raccogliere le risorse laddove ci sono, ovvero nelle tasche dei più ricchi, per trasferirle in quelle dei più poveri. Per noi la Cgil sollecita sostanzialmente una manovra attorno ai 22-23 miliardi di euro per aiutare i consumi e per sostenere l'occupazione. 22-23 miliardi di euro da distribuire fra ciò che resta dell'anno in corso e l'intero anno prossimo, indispensabili per mettere in moto processi strutturali di lungo periodo, che sono cosa ben diversa dai pannicelli caldi, una tantum, sin qui elencati dal governo di centro destra. Niente di paragonabile, quindi, ai bonus o alle umilianti elemosine natalizie ai più bisognosi, che ci richiamano alla mente la tessera del pane di mussoliniana memoria, oltre al classico detto passate le feste gabbato lo santo. Ma è proprio da quest'orecchio che il nostro ineffabile Cavaliere non intende nel modo più assoluto prestare ascolto. Lui di mettere le mani nelle tasche proprie e dei suoi simili non ci pensa proprio, è cosa fortemente contraria al suo famelico istinto di classe, altrimenti non si spiegherebbe la solerzia dimostrata, non appena insediatosi a palazzo Chigi, allorché senza pensarci neppure un attimo, ha esteso l'abolizione dell'Ici, decisa dal governo Prodi per le prime case di più modesto valore, anche alle abitazioni di lusso, ville sarde comprese, incurante del fatto che così facendo avrebbe messo in crisi i bilanci dei Comuni italiani e falcidiato le risorse necessarie per sostenere la ricerca, la scuola, i servizi sociali e tante altre cose assolutamente indispensabili per il benessere degli italiani. Eppure altre strade da percorrere non vi sono diverse da quella che va costruita sulla prospettiva di un travaso immediato di risorse a favore dei cittadini più deboli, così da recuperare almeno un po' lo scandaloso "furto" che è stato commesso ai loro danni negli ultimi 25 anni, se è vero, come è vero, che il questo non lungo lasso di tempo un buon 10% del pil internazionale è stato "guadagnato" dalla retribuzione del capitale a tutto scapito di quella del lavoro. E l'Italia è fra i Paesi che hanno contruibuito a mantenere alta la media. Per rendere più chiara l'utilità della cosa basterà riflettere su di un semplicissimo esempio matematico. Mettiamo che un macellaio abbia come clienti mille lavoratori che guadagnano 1000 euro al mese ciascuno e che,in virtù di questo loro scarso reddito, possono permettersi il lusso di acquistare non più di 400 grammi di carne alla settimana (solo per la domenica); mettiamo anche che lo stesso macellaio abbia fra i suoi clienti anche un facoltoso imprenditore o un super manager abituato a non farsi mancare nulla visto che il fortunato riporta a casa ogni mese 10 milioni di euro e perciò può benissino acquistare un chilo di carne ogni giorno: avremo come risultato finale che in quel negozio si smerciano complessivamente 407 chilogrammi di carne ogni settimana. Ora, se la retribuzione dei lavoratori rimane la medesima, mentre invece quella del cliente facoltoso cresce dell'10%, arrivando a 11 milioni di euro mensili, abbiamo come probabile risultato che il consumo dei primi resta il medesimo, se non addirittura minore per effetto del carovita che falcidia i loro redditi, ed anche il consumo del secondo non varerà poiché il chilogrammo quotidiano è il massimo consumabile dalla sua famiglia. In questo caso il risultato finale è, dunque, che neppure al fatidico macellaio andrà qualcosa dell'accresciuta ricchezza collettiva e che anzi egli correrà il rischio concreto di vedere diminuire i suoi incassi, mentre il milione in più mensilmente guadagnato dall'imprenditore o dal supermanager sarà da questi impiegato in speculazioni di natura finanziaria o per l'acquisto di beni di lusso, magari un'altra villa in Sardegna. Se, al contrario, quel milione di surplus mensile andasse ai lavoratori avremo un quadro del tutto diverso: avendo raddoppiate le loro entrate mensili questi raddoppierebbero anche i loro consumi di carne, passando a 800 grammi ogni settimana, mentre la famiglia del cliente facoltoso continuerebbe a gustarsi il suo chilo di bistecche quotidiano. Allora il macellaio di carne ne smercerebbe ben 807 chili ogni sette giorni, un beneficio non da poco che si trasmetterebbe all'intera filiera legata al suo commercio (allevamenti, mangimifici, ecc.), moltiplicando reddito ed occupazione. Ma non solo, perché grazie al loro raddoppio retributivo, le famiglie dei lavoratori potrebbero anche concedersi il lusso di un salto in pizzeria almeno un paio di volte all'anno, o magari di un paio di scarpe o di pantaloni nuovi in più, per cui questo loro accresciuto benessere si trasmetterebbe anche ad altri settori della nostra economia. Come si vede si tratta di un ragionamento elementare che non contagia più solo noi, inguaribili comunisti, ma che è ormai largamente condiviso anche da una larga parte di economisti liberal. Ci scusino i lettori se non rammentiamo il nome di quello che se n'è uscito qualche giorno fa con la seguente folcloristica considerazione: "in tempi come questi i soldi li dovremmo buttare per strada dall'elicottero", intendendo con ciò la necessità, appunto, di assegnare più risorse da spendere a chi non ne ha a sufficienza per farlo. Una considerazione che, se condividiamo in via di principio, all'atto pratico esiteremmo assai a mettere in pratica per il timore che i vari Berlusconi, Tremonti, Brunetta e compagnia cantando, resi edotti per tempo del luogo e dell'ora dell'avvenimento, si possano presentare la sotto in prima fila, muniti di capienti sacchi, per raccoglierne il massimo possibile. Condividi