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Ing. Giocondo Talamonti Assessore alle Politiche del Lavoro del Comune di Terni Il percorso che conduce ad acquisire una “cultura della sicurezza” è spesso tormentoso, come ben sa chi si dedica al lungo processo formativo, sia in qualità di docente che di discente. La gestione di tale patrimonio è meno facile di quanto si creda. La prevenzione, intesa come difesa dal rischio, solo per una parte non significativa è affidata all’istinto, notevole, invece, è quella affidata all’educazione. L’attenzione e i processi preventivi in materia lavorativa sono utili a stabilire principi e parametri applicabili a tutti i contesti, ma soprattutto a creare, fra gli operatori, una coscienza del rischio potenziale. Se è vero che gli incidenti mortali sul lavoro stanno tendenzialmente calando in Italia, è altrettanto vero che il loro numero resta ancora troppo alto per un Paese che si definisce moderno ed attento alla salute dei lavoratori. Siamo ancora lontani dagli obiettivi di produttività e di competitività della strategia di Lisbona che per il periodo 2007-2012 stabilisce di ridurre del 25% la percentuale di infortuni sul lavoro. Riuscire ad evitare incidenti è aspirazione vana, ma contenerli in ambiti fisiologici deve costituire l’impegno di tutte le forze sociali ed istituzionali. Il concetto di rischio sfugge, insomma, ad una classificazione pratica, al punto da considerare gli incidenti inevitabili, ma non irriducibili; non esiste, quindi, un contesto lavorativo asettico dal punto di vista dell’esposizione. Secondo un’indagine, effettuata nella Regione Lazio, presso i lavoratori dell’industria, il 36% imputa le ragioni degli infortuni all’ambiente lavorativo, il 20,7% alla scarsa organizzazione del lavoro, il 16,3% da la colpa alla distrazione degli operatori o alla loro eccessiva sicurezza ed il 26,2% al caso o alla fatalità. La prima considerazione che scaturisce da un’osservazione dei dati è che la percentuale del 26,2%, indicata come estranea ad ogni misura preventiva o accortezza individuale, è paurosamente alta. Assolutamente inconcepibile è che un quarto degli incidenti siano percepiti come inevitabili, a dimostrazione di una carente educazione in materia ed indice preoccupante di assenza di formazione. Alcuni degli intervistati hanno collegato la qualità alla sicurezza, affermando che un più alto standard qualitativo delle procedure operative comporta un più alto livello di esposizione ai pericoli potenziali. Niente di più falso. E’ esattamente il contrario: la qualità è più garantita laddove le misure preventive sono più elevate. L’assioma è strumentalmente utilizzato per giustificare la rinuncia a soluzioni di protezione dai rischi che, in qualche modo, limitano la libertà del lavoratore a muoversi nel suo ambito produttivo, tanto da indicarlo come un ostacolo. Nella realtà, invece, poiché le procedure per ottenere prodotti di qualità sono minuziosamente messe a punto in ogni dettaglio, non possono, per forza di cose, non tener conto degli effetti che si attivano in termini di ricaduta sul sistema sicurezza. Ecco perché sarebbe più corretto parlare in termini di “sicurezza” e “qualità lavoro”, arricchendo il secondo di un più pregnante significato. Gli sforzi che a livello legislativo si stanno compiendo vanno in questa direzione. Il nuovo regolamento edilizio del Comune di Terni prevede due aspetti qualificanti come la qualità del costruito e la Sicurezza negli ambienti lavorativi. Il testo è all’esame della 1.ma commissione. E’, inoltre, di questi giorni la notizia che la Giunta Regionale dell’Umbria ha preadottato la nuova legge regionale in materia di “lavori pubblici” nel cui articolato risulta in primo piano la questione della sicurezza. Specificatamente viene adottato come criterio “ordinario” per l’aggiudicazione delle gare quello della “offerta economicamente più vantaggiosa” che, di per sé, fa riferimento e “valorizza”, aspetti di natura sociale e civile, non compresi o scarsamente compresi in una pura logica di “massimo ribasso”. L’aggiudicazione di appalti al massimo ribasso è, infatti, un meccanismo spietato che porta automaticamente al contenimento di qualsiasi spesa giudicata superflua in aggiunta a quella dei materiali e della manodopera. Le riduzioni colpiscono, in primo luogo, sicurezza e qualità, condizionando al profitto ogni logica di salvaguardia della salute dei dipendenti. In specifici strong>settori, fra cui spicca quello edile, la concentrazione di operatori extracomunitari ha, inoltre, favorito una scarsa attenzione alla sicurezza e risultati qualitativi più bassi. Il fenomeno risiede nella carente cultura della sicurezza che caratterizza, principalmente, i lavoratori provenienti da paesi dove non esistono ancora misure di prevenzione adeguate agli standard europei. Il concetto di sicurezza, strettamente connesso alla “qualità lavoro” presuppone la maturazione di due status per essere raggiunto: l’esercizio consapevole della propria mansione, dettato dal possesso di fondamenti culturali maturati e da sviluppare, e la prevenzione attuata con il ricorso a misure, strumenti, formazione, entrambi aventi un costo più o meno alto. Su questa duplice rappresentazione si misura troppo spesso la competitività. Occorre allora stabilire regole comuni e, in particolare, controlli a tappeto per ristabilire parametri che incidano con pari aggravio economico sui datori di lavoro e favorire il giusto atteggiamento nei confronti del potenziale infortunio. Prepararsi alla possibilità che si verifichi, prevedere come e quando possa realizzarsi, significa già disporre di conoscenze utili ad annullarne gli effetti; significa, in sostanza, possedere la giusta educazione. Quando si parla di “educazione” si intende un processo di acquisizione di conoscenze e valori, più o meno lungo, appreso prima nella scuola e poi nell’esperienza, nel corso del quale vengono impartite lezioni e suggerimenti miranti a risolvere determinati problemi connessi alla salute del lavoratore. Detto processo, che non si esaurisce mai, è apparentemente improduttivo nella sua fase iniziale, in quanto non manifesta alcun utile concreto. Il costo della formazione viene, quindi, considerato dai più una perdita economica e finanziaria secca. L’aggiornamento delle conoscenze rientra in una permanente formazione ed educazione del soggetto cui spetta il compito di arricchire i saperi personali con elementi di informazione e formazione continua. Per quanto si faccia fatica a crederlo, è questa la convinzione dominante fra i piccoli datori di lavoro ed è rarissimo che i lavoratori assunti seguano dei “training” di sicurezza specifici per svolgere quella specifica attività. E’ opportuno dire che le dimensioni della maggior parte delle aziende italiane non consentono sempre di sostenere gli oneri derivanti da corsi di formazione, così che prevedere un sostegno finanziario a queste imprese o ipotizzare la frequenza obbligatoria a corsi di formazione, senza, quindi, incidere nei bilanci aziendali, può essere la soluzione a tanti problemi. Lavorare in qualità assume, perciò, il suo senso più vero se lo intendiamo comprensivo degli oneri, anche finanziari,necessari a conferirgli tale caratteristica. Il problema, di conseguenza, si riflette nella competitività, sia in termini di costi che di qualità del prodotto che deve tener conto di tanti altri fattori, specie in una fase di criticità economica come quella che stiamo vivendo e che spinge tutti ad uno sforzo congiunto per non piegarsi alle spinte di una recessione incombente. Su questi temi, il Presidente della Associazione degli Industriali di Terni, ha recentemente tenuta una sua relazione “La forza delle idee”, così l’ha titolata, con cui ha individuato i correttivi necessari per migliorare i processi industriali e i prodotti nonostante il momento di crisi. Oltre agli interventi sul credito, vi sono priorità programmatorie che devono vedere la compartecipazione alle scelte qualificanti della politica e del sindacato, su una gamma di situazioni che vanno dalla semplificazione amministrativa alla disponibilità energetica ma fra cui spicca come importante fattore di ripresa “la promozione dei processi di integrazione fra formazione e mondo del lavoro recuperando terreno sul versante dell’istruzione professionale e del rapporto con l’università Peraltro, anche nel Patto per lo sviluppo dell’Umbria particolare attenzione viene posta sui temi dell’innovazione e della ricerca e sulle politiche legate alla competitività di sistema e delle imprese con l’introduzione di norme legate all’innovazione nella pubblica Amministrazione nella forma della semplificazione, in particolare nel rapporto con le imprese. Inoltre vengono introdotti specifici articoli dedicati ai “Poli di innovazione”, ai “Distretti Tecnologici” e alle “Reti di Imprese” Il primo passo è , tuttavia, di rendere obbligatorio per i datori di lavoro il rispetto delle normative vigenti (Testo Unico), senza deroghe, raggiri od omissioni. L’inasprimento delle pene per la mancata osservanza dei suoi contenuti dovrebbe essere di tale portata da scoraggiare il benché minimo atteggiamento di sufficienza. Lavorare per vivere ha senso, mettere a rischio la vita per esercitare un diritto imprescindibile non può essere considerato un valore barattabile. A tal proposito, ritengo opportuno segnalare l’iniziativa assunta dalla Regione Umbra circa l’impegno di solidarietà finalizzato all’istituzione di un “Fondo di emergenza per le famiglie delle vittime di incidenti sul lavoro” e l’impegno del Prefetto di Terni nell’istituire una Commissione, di cui fa parte anche il Comune di Terni, incaricata di attivare sistemi e procedure per sostenere le famiglie dei caduti sul lavoro. Ritornando al tema della “qualità-lavoro”, l’impressione, però è che nessuna legge sarà di per sé capace di annullare le potenzialità di infortunio nello svolgimento di un qualsiasi compito lavorativo; pertanto è più logico attendersi da un atteggiamento responsabile del lavoratore e da precise sue conoscenze formative, la soluzione più immediata a garantire la vita dai rischi. Gli interventi normativi dovrebbero rivolgersi ad aspetti del rapporto lavorativo nelle accezioni giuridiche del negozio. Per essere più chiari, in materia di “affidamento dei lavori” dovrebbe essere evitato il ricorso a strumenti che, con l’obiettivo di aumentare la competitività, elevano i rischi alla persona. Il Testo Unico sembra aver prodotto sensibili miglioramenti nell’ottica del contenimento degli incidenti, mentre le disposizioni in materia di recrudescenza delle pene per i datori di lavoro inosservanti, merita di essere affiancata da norme procedurali severe. Anche se al riguardo, si è dell’opinione secondo la quale non è che punendo con maggiore severità i trasgressori si ottiene una diminuzione del fenomeno, ma, semmai, che si può ragionevolmente assistere alla riduzione della sua entità, aumentando i controlli e sviluppando la cultura della sicurezza. Interessante a proposito, la proposta formulata dal Segretario Generale regionale CISL, quando in preparazione del convegno CISL “Quale futuro per l’Umbria?”, auspicò, per scoraggiare i trasgressori, che accanto all’esclusione da appalti pubblici delle Aziende che utilizzano lavoro in nero, dovesse esserci la possibilità, da parte dei Comuni, di intervenire, anche nell’edilizia privata, esercitando la facoltà di rilascio del certificato di abitabilità. Posto che la competitività è un concetto che obbliga a considerazioni concrete, non solo rispetto a quelle fatte fino a questo momento ma anche ad altre quali: l’analisi macroscopica del contesto in cui va esercitata (globale, europea, nazionale e locale), la visione macro economica del processo di sviluppo, le infrastrutture varie, il costo energetico, l’innovazione, la ricerca, la formazione, l’orientamento, l’aggiornamento, il supporto universitario e bancario, la domanda del dibattito a proposito di un possibile equilibrio fra sicurezza, qualità e competitività sfocia in una risposta affermativa, a condizione di aver ben dosato il sistema di relazioni che mettono in rapporto i tre elementi in questione. Dobbiamo dire che le misure da adottare per la sicurezza nel lavoro, se per certi versi potrebbero sembrare onerose, per altri tutelando lo stato di benessere dei lavoratori, vanno, in termini di costi, ad avere una minore incidenza della spesa generale destinata a salvaguardare la salute pubblica. Abbiamo poi visto che nel nesso sicurezza- qualità hanno un ruolo tanti altri fattori che passano attraverso: i programmi di istruzione, informazione e formazione, i problemi relativi alla precarietà e alla stabilizzazione lavorativa, i processi produttivi e gestionali legati all’innovazione e alla ricerca, la continuità dei controlli professionali, la cooperazione delle parti sociali, il coinvolgimento degli Enti Istituzionali. Ebbene, quando andiamo a correlare tutto ciò con la competitività, dobbiamo, con franchezza, dirci che l’equilibrio è possibile se gli operatori economici ed i lavoratori agiscono con gli stessi strumenti e dispongono delle medesime potenzialità. Partire, cioè, da una piattaforma comune per creare la quale occorrono le leggi, mentre rispettarle deve essere sentito un dovere dei singoli e vigilare un compito delle Istituzioni. Quando le normative legislative, la percezione individuale del pericolo nello svolgimento di un compito, gli Enti predisposti ad assicurare la salvaguardia dei lavoratori convergeranno verso un unico obiettivo, difficilmente i risultati potranno sfuggire. Dunque, le potenzialità per affrontare e risolvere il problema degli incidenti sul lavoro esistono; sono superabili i costi, sono fattibili i processi formativi, è possibile il cointeressamento. L’ultima a mancare dovrebbe essere la volontà. S’impone, perciò, un cambio di mentalità, un atteggiamento di maggiore responsabilità ed intransigenza, se non si vogliono ripetere fino alla nausea parole di circostanza ogni volta che un uomo allunga il triste elenco dei caduti, avendo l’unica colpa di aver esercitato il suo sacrosanto diritto al lavoro. E consentitemi di chiudere con le parole del Presidente Napolitano “…E se ho di frequente preso la parola in proposito, è perché ho ogni volta sentito personalmente indignazione e dolore, pena e solidarietà per i famigliari delle vittime, volontà di reagire, di fermare una tragica catena di morte….allora si leva ancor più fortemente il grido: “Basta”. Non può continuare così, non ci si può rassegnare come ad una inevitabile fatalità…”. Un invito a tutti ed in particolare alla scuola ad accogliere il messaggio del Capo dello Stato e a far tesoro degli insegnamenti etici delle sue parole. Condividi