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Stefano Falcinelli* La sfida che ci sta dinnanzi e che tutti dovremmo raccogliere è quella di tenere assieme le varie culture di sinistra che in Italia non si sentono rappresentate dal PD e che vogliano concorrere alla costruzione di un progetto politico che, rispetto al PD, sia autonomo e concorrenziale, sul piano dei contenuti come su quello della capacità di interloquire col mondo del lavoro e del sociale. Un progetto politico che non si ponga come obiettivo primario quello di spostare l’asse politico del partito di Veltroni verso sinistra, perché non si può costruire una politica credibile e autonoma scendendo da subito sul terreno degli altri, siano essi avversari o possibili alleati. Sappiamo tutti che nella sinistra italiana abbiamo esperienze e storie diverse che, rinunciando alla paura di snaturare le proprie vocazioni specifiche, potrebbero senza grande difficoltà riconoscersi in un comune denominatore di intenti politici. Dico “senza grande difficoltà”, e qui qualcuno potrebbe, come si dice, “arricciare un po’ il naso”, perchè sono convinto che tante divisioni presenti nella sinistra febbricitante e un po’ schizofrenica del dopo elezioni, sono frutto di una scarsa lungimiranza politica, e anche un po’ strumentale; esse sono conseguenza della paura di sperimentare e di mettersi in discussione, della ricerca di certezze alle quali dobbiamo, almeno per ora e per il prossimo futuro, rinunciare. Oggi è il momento del coraggio, dell’apertura, della costruzione di nuovi paradigmi culturali e filosofici che sappiano sintonizzarsi con le crisi e le contraddizioni del presente al fine di individuare un orizzonte possibile per il cambiamento. Un forte investimento di pensiero in cui intelligenze individuali e collettive si impegnino da subito per la costruzione di una tavola rotonda permanente di dibattito e di confronto tra tutte le entità organizzate della sinistra, assieme a cittadini e intellettuali, comunisti, socialisti, ambientalisti o altro che siano. Esperimenti di questo tipo andrebbero attivati e praticati nei vari territori per far nascere e crescere tante sinistre unite e plurali locali, proprio come dice Bertinotti nelle sue 15 tesi oggi, e proprio come molti compagni e compagne stanno già dicendo e praticando da anni in alcune zone del nostro paese, Umbria compresa: si ricordi come esempio emblematico quello dell’Associazione per una Sinistra Unita e Plurale di Firenze. Queste esperienze vanno certo legate assieme a rete, con una pratica della democrazia partecipata che consenta di coniugare operatività, rappresentanza e capacità di influire nelle decisioni da parte di tutti. La sinistra del domani, per quello che è stato l’esito dei congressi dei vari partiti dopo le lezioni di aprile, o sarà plurale o non sarà. Sarà una sinistra senza aggettivi perché di aggettivi tanti ne possiede: sinistra comunista, socialista, ambientalista; sinistra del e per il lavoro e quindi laburista, sinistra critica, alternativa, antagonista, e chi più ne ha più ne metta. Una sinistra plurale, quindi, piena di contenuti, di storie ed esperienze diverse, che, nel rispetto reciproco delle specificità, sia in grado di rinunciare alla precisione individualizzante delle definizioni in favore del dialogo e del confronto costruttivi, dell’unità e della condivisione di intenti. L’attuale classe dirigente delle sinistre mignon italiane deve mettersi in discussione, assieme agli schemi mentali su cui si è formata ed è cresciuta, facendo, non uno, ma molti passi indietro e rinunciando alla schizofrenia autodistruttiva in cui si è infognata dopo la sconfitta elettorale della primavera scorsa, paralizzandosi e paralizzando la capacità di mobilitazione di quella base che essa pretende di guidare e rappresentare. Se questo passaggio verrà eluso, come molti stanno tentando di fare, dall’attuale situazione di frammentazione a camere stagne non potremo uscire e qualunque ipotesi di unificazione a sinistra, che nasca da un tale humus inquinato, sarà destinata a fallire, portando alla formazione dell’ennesima parzialità politica mono-aggetivata, chiara e rassicurante per pochi ma incomprensibile per il popolo: quel popolo di sinistra a cui ci vogliamo rivolgere e che, essendo ampio e variegato, ha bisogno di una sintesi fatta di pluralità dialoganti. Dico questo perché è proprio nella frammentazione che tale classe politica intravede, quantomeno a livello inconscio, una possibilità di sopravvivenza senza la fatica del dover confrontarsi col radicale cambiamento delle forme e dei modi della politica; un cambiamento che, come è noto, non può che produrre discontinuità, perdita di certezze e di posizioni acquisiste. Oggi, per non scomparire definitivamente, bisogna rischiare e praticare strade nuove ed inedite; è giunto il momento storico di rivoluzionare la sinistra per poter impostare la rivoluzione del domani, per costruire le prospettive e le certezze del futuro. Mi rendo conto che si tratta di una cosa che non è per nulla facile e agevole da fare, perché sarà piena di contraddizioni, di resistenze e di contrasti, ma essa è oltremodo indispensabile al fine di tenere aperta la possibilità del cambiamento per le generazioni future. I percorsi possibili per praticare questa strada sono plurimi. Discutiamone collettivamente e cominciamo col sperimentarne uno alla volta, o, se lo crediamo opportuno, anche più di uno contemporaneamente, vista la storica tradizione di differenze, più o meno integrate, che caratterizza i vari territori del nostro paese. Sperimentiamo con coraggio e intelligenza, dopo di che tireremo le somme del nostro lavoro e forse riusciremo a vedere più chiaramente la realtà senza la follia delle contrapposizioni strumentali che hanno contraddistinto la storia della sinistra italiana piena di separazioni e di scissioni assolutamente inutili e dannose, se non per frammenti di ceto politico bisognosi di orticelli da coltivare per la propria sopravvivenza autoreferenziale. È questa la situazione in cui ci troviamo, conseguenza di errori accumulati da parte di gruppi dirigenti trasversali ai vari partiti e ai vari schieramenti di partito, tutti insieme appassionatamente nella costruzione di bellissimi documenti e proclami mai realmente praticati, di campagne di mobilitazione perseguite con caparbietà e durezza, poi, improvvisamente abbandonate e che hanno lasciato uno strascico pesante pieno di fratture e contrapposizioni: ricordate la battaglia sulle 35 ore con cui mandammo a casa il primo governo Prodi e che costò l’ennesima dolorosa scissione, oppure la vicenda della Sinistra Europea che è rimasta senza gambe per proseguire il percorso che avrebbe dovuto fare? Questo e tanto altro ci ha condotto nelle sabbie mobili in cui oggi ci troviamo. Allora cosa fare per l’oggi e per il domani? Oggi è il momento della sinistra di popolo, come è stata più volte definita, che non può che nascere a partire dal popolo, da una sua grande assunzione di responsabilità collettiva, da un suo rinnovato protagonismo che isoli come un cancro da estirpare la cultura, fatta di arroganza, egoismo, presunzione, autoreferenzialità di un certo ceto politico che ci ha condotto sull’orlo della scomparsa e che, in assenza di una vera autocritica e senza alcun reale cambiamento praticato, si ripropone come un mantra dagli oscuri poteri mai dimostrati e si vuole accreditare sfacciatamente come il ricostruttore dell’oggi e del domani. Su questo già si stanno verificando e si giocheranno nel prossimo futuro le più grosse resistenze e le maggiori contrapposizioni, basti pensare che i congressi dei vari partiti della sinistra, che si sono celebrati dopo il disastro elettorale dell’aprile scorso, non sono riusciti né a far retrocedere la classe politica dirigente del prima elezioni, né ad innestare con decisione nuovi quadri dirigenti in discontinuità netta col passato. Vi sfido ad andare a verificare quali sono i nomi dei dirigenti politici ai vari livelli nominati oggi, sia dentro gli organi di gestione e direzione dei vari partiti che in quelli delle singole correnti o aree di partito che dir si voglia: vedrete che, con poche eccezioni come quella dello stesso Bertinotti, la continuità col prima è sconvolgente e assolutamente ingiustificata dagli eventi. Quello che è importante sottolineare, a questo punto, è che le diverse sperimentazioni che dovremo mettere in campo, non potranno che nascere dal basso, dai territori, dal sociale, in autonomia e con percorsi autorganizzati e spontanei. Però, per innescare un’azione sinergica che produca lo sblocco dell’attuale situazione di stallo e paralisi della sinistra e la faccia avanzare verso approdi di prospettiva, è fondamentale che tali percorsi paralleli sappiano intersecarsi costantemente: essi devono parlarsi, devono saper dialogare fra loro e col mondo circostante in maniera continuata e totalmente aperta, senza pregiudizi né resistenze di sorta. Abbiamo pochi mesi davanti. Se non inizieremo da subito un percorso di radicale rinnovamento che metta al bando tutte le contrapposizioni strumentali che ci stanno attraversando e lacerando oggi, saremo condannati inevitabilmente ad un esito elettorale disastroso, sia per le amministrative che per le europee, che cancellerà per molti anni a venire ogni prospettiva politica per la sinistra alternativa nel nostro paese. *membro CPF del PRC/SE di Perugia, già aderente all’Area Politico Culturale di Rifondazione per la Sinistra Condividi