di Maria Pellegrini.

Al museo dell’Ara Pacis, a Roma, è stata inaugura il 6 aprile la grande mostra “Claudio Imperatore. Messalina, Agrippina e le ombre di una dinastia”. Come annunciato nel Comunicato Stampa sarà l’occasione per guidare i visitatori alla scoperta della vita del discusso imperatore romano, dalla nascita a Lione nel 10 a.C. fino alla morte a Roma nel 54 d.C., «mettendone in luce la personalità, l’operato politico e amministrativo, il legame con la figura di Augusto e con il celebre fratello Germanico, il tragico rapporto con le ultime due mogli Messalina e Agrippina, sullo sfondo della corte imperiale romana e delle controverse vicende della dinastia giulio-claudia».

Un viaggio suggestivo, scandito da opere di grandissimo valore prestate da musei prestigiose come il Louvre, il British, i Musei Vaticani, e dal prezioso patrimonio conservato in altri musei di Roma (Musei Capitolini, Centrale Montemartini, Antiquarium Celio, Museo della Civiltà Romana). L’allestimento oltre a busti dei rappresentanti della dinastia Giulio-Claudia espone il magnifico cammeo con il ritratto di Claudio, numerosi reperti archeologici, la statua di Messalina con in braccio il piccolo figlio Britannico, quella di Agrippina minore, figlia di Germanico, e quindi nipote di Claudio e sua sposa dopo la morte di Messalina. Tra le varie opere spicca la statua di Claudio proveniente dal Louvre, immagine simbolo dell’esposizione, e la grande urna che conteneva le ossa di Agrippina rinvenuta nel vicino Mausoleo di Augusto. Provenienti dal Museo della Civiltà Romana sono visibili gli storici modelli in gesso per illustrare le grandi opere pubbliche realizzate dall’imperatore come l’acquedotto Claudio a Porta Maggiore, e frammenti della “Forma Urbis” con la pianta del tempio di Claudio divinizzato. Si possono anche ammirare due ritratti di Tiberio e Claudio, un piccolo gruppo di bronzi dall’Antiquarium del Celio (chiuso da decenni), tra cui un ermafrodito e una lucerna entrambi di splendida fattura in bronzo.

La mostra è un vero e proprio viaggio che accompagna i visitatori alla scoperta degli eventi che hanno segnato la vita dell’imperatore Claudio. Un allestimento originale che soddisfa per il rigore scientifico ma che non esclude la piacevolezza dell’aspetto divulgativo, ed emoziona per le suggestioni visive e sonore: dalle parole di Svetonio ai film del cinema muto.

Per chi intende visitare la mostra ripercorriamo a grandi tratti alcuni aspetti peculiari della vita del quarto imperatore romano che scorre lungo l’itinerario dell’esposizione come una narrazione delle sue imprese, della sua vita pubblica e privata. Claudio, eletto dopo la morte di Caligola, era un uomo tranquillo, dedito agli studi e tutt’altro che un inetto come spesso l’ha considerato la storiografia antica soprattutto le “Vite dei Cesari” di Svetonio che sono uno splendido esempio di mistificazione storica sotto le apparenze di una puntigliosa documentazione di archivio ed elencazione di dicerie, aneddoti, testimonianze, incredibili prodigi in cui nessuno (degli intellettuali s’intende) credeva più da tempo. Il biografo ha dato di Claudio un ritratto di un uomo che balbetta, soffre d’improvvisi terrori, è malfermo sulle gambe, ha membra gracili e tremori alle braccia, tanto da costituire un vero problema per la famiglia Giulio-Claudia. Nessuno avrebbe detto che all’età di cinquant’anni, sarebbe divenuto imperatore. Del resto la sua elezione - sempre secondo il racconto di Svetonio - fu un caso fortuito. Quando Caligola fu ucciso dai congiurati, Claudio, spaventato dal terribile trambusto nel Palazzo, si era nascosto dietro la tenda d’una stanza lontana dal luogo del delitto. Un soldato delle corti pretorie, passando proprio in quella stanza, scorse i suoi piedi spuntare dal drappeggio: lo stanò dal nascondiglio e riconosciutolo lo chiamò imperatore. Altri pretoriani accorsero, e sollevatolo di peso lo trasportarono su una lettiga fino al loro accampamento dove le truppe giurarono obbedienza a Claudio, e lui rincuorato e quasi non credendo alle sue orecchie, promise a ciascun soldato quindicimila sesterzi. Fu così il primo dei Cesari a pagare la fedeltà dell’esercito, o piuttosto di quella parte dell’esercito, i pretoriani, che avrebbero fatto il bello e il cattivo tempo nella sfera dei supremi poteri dello Stato. Claudio però fece seguire una richiesta di conferma al trono rivolta al Senato che non disapprovò la sua nomina essendo un appartenente alla famiglia giulio-claudia (41 d. C.).

È lecito, almeno in parte, dubitare, di tanti altri racconti che lo tratteggiano in modo negativo, con notizie ingigantite dalla tendenziosità della tradizione storica e biografica anti-imperiale caratterizzata dall’opera delle principali “fonti” d’informazione giunte fino a noi, come la già citata “Vita dei Cesari” di Svetonio, gli “Annali” di Tacito, la “Storia Romana” del greco Cassio Dione.

Claudio era un uomo dedito agli studi filologici e storici sulla civiltà egizia e cartaginese, ma tutt’altro che un inetto, e può anzi essere considerato il migliore imperatore della dinastia Giulio-Claudia, dopo Augusto. Si rivelò un uomo dalle qualità sorprendenti, malgrado l’apparenza lo mostrasse distratto e bizzarro.

Fu soprattutto un principe saggio e razionale, a parte una forse eccessiva inclinazione verso le donne: ebbe quattro mogli una dopo l’altra, e fu proprio questa pur comprensibile debolezza a determinare la sua fine. Ma resse con abilità e moderazione il potere assunto con la nomina a imperatore. Volle conciliare il principato con la libertà senatoria e regnò saggiamente. Claudio aveva perfettamente compreso che l’impero, per essere ben governato, necessitava (come già Augusto aveva intuito) di una forte e dinamica burocrazia, e poiché gli aristocratici di tutto avevano voglia fuorché di impegnarsi in attività pratiche, quali gli affari quotidiani del vasto impero, e anche la “borghesia” finanziaria e imprenditoriale aveva già il suo da fare per continuare ad arricchirsi, egli - in sprezzo ad ogni discriminazione classista e razzista – aveva costituito una specie di “gabinetto” suddiviso in dicasteri (finanze, comunicazioni, ordine pubblico, ecc.), affidando la direzione di ciascuno di essi ad un liberto di sperimentata fedeltà ed efficienza. Del resto numerosi erano gli schiavi liberati che esercitavano professioni di altissimo prestigio, in qualità, ad esempio, di precettori o di segretari presso potenti casate patrizie.

Fra di essi Claudio aveva scelto i più intelligenti e dinamici, e magari (il pericolo c’era) anche i più ambiziosi, per avere al suo fianco collaboratori degni di questa altissima funzione. L’aristocrazia senatoria lo accusò di aver ridotto il prestigio e il potere del senato immettendovi esponenti delle province dell’Impero e affidando incarichi amministrativi e burocratici ai liberti. Svetonio lo critica aspramente accusandolo di «essere governato dai liberti e dalle mogli, e di essere vissuto più da servo che da imperatore». In realtà il suo punto debole e le pesanti allusioni satiriche dell’epoca dipendevano anche dalla sua vita coniugale che contribuì a screditarlo. Messalina - era noto - non aveva costumi irreprensibili, lo portò all’esasperazione con episodi scandalosi e forse una congiura ordita contro di lui che lo costrinse a decretarne la morte. Rimase a lungo vedovo, ma poi cadde nelle lusinghe di un’altra donna, la nipote Agrippina che lo portò a nuove nozze.

Uno dei meriti di questa esposizione all’Ara Pacis sta però proprio nel restituire l’importanza e la complessità di questo imperatore, non dando conto dei pettegolezzi tramandati che hanno distorto la sua immagine ma mettendone in luce il suo operato: aveva consolidato e ampliato i confini dell’impero con la conquista della Mauritania (odierno Marocco) e della Britannia (la parte meridionale e centrale dell’isola), era intervenuto in Tracia - divenuta provincia - in Palestina e in Giudea, aveva ampliato il porto di Ostia, costruito il grandioso acquedotto denominato dell’“Acqua Claudia “e prosciugato il lago del Fucino negli Abruzzi. In complesso rinnovò la vita economica e sociale. Il censimento nel 48 registrò un notevole aumento dovuto anche all’afflusso di stranieri e liberti. Un’orazione dinanzi al Senato, riportata da Tacito, riassume un concetto fondamentale della sua politica in ossequio a quella della Roma monarchica delle origini e poi repubblicana: «Il nostro fondatore Romolo fu così saggio che di molti popoli prima nemici fece dei cittadini. Stranieri furono alcuni nostri re; magistrature si dettero ai figli dei liberti, usanza antica fra noi, non recente come a torto si crede».

Ma ciò che aveva ricompattato l’aristocrazia contro di lui era la concessione della cittadinanza romana - della quale avevano già beneficiato gli abitanti della Gallia Cisalpina - anche ai Galli della Transalpina, che comportava lo “ius honorum” il diritto di accedere al senato ai notabili di quella provincia.

Nella mostra è esposta “Tabula Claudiana” in bronzo su cui è impresso parte del discorso tenuto da Claudio in Senato nel 48 d. C (illuminata riga per riga con lettura e traduzione in simultanea) che esprimeva la sua concezione di un impero universalistico, votato all’integrazione dei popoli sottomessi. L’esordio di questo discorso era un invito a rifuggire da ogni novità: «Non abbiate in orrore questa riforma perché nuova, ma pensate piuttosto a quante cose si sono rinnovate in questa città». Il discorso è riportato anche da Tacito negli “Annali” (XI, 23)

Che Claudio fosse inviso all’aristocrazia senatoria per la sua spregiudicata politica di svecchiamento delle strutture dell’impero, è dimostrato anche da un perfido pamphlet contro di lui, in forma di satira menippea (un misto di prosa e di versi) scritta da quel discutibile, ancorché geniale personaggio delle lettere latine che fu Seneca. Uno dei diversi titoli con cui quella velenosa operetta ci è stata tramandata è “Ludus de morte Claudii” (Satira sulla morte di di Claudio) o il greco Ἀποκολοκύντωσις, neologismo inventato da Seneca che deriva dall’unione dei termini Κολόκυνθα, (zucca) e αποθέωση (deificazione/glorificazione). L’interpretazione di quel titolo è incerta e discussa, è stato tradotto “trasformazione in zucca” ma poiché nell’opera il morto non subisce alcuna trasformazione, altri hanno supposto che il senso sia piuttosto “deificazione di una zucca” con chiara allusione cattiva fama di cui Claudio godeva. Il contenuto è una parodia del processo di deificazione che era riservato agli imperatori. Il senato romano alla morte di Claudio (54 d. C) decreta la sua apoteosi. Nell’operetta senecana si beffeggia l’ormai defunto l’imperatore oltre che per il suo aspetto fisico, anche con l’accusa di voler concedere diritto di cittadinanza alle popolazioni barbare dell’impero, di aver deciso «di vedere tutti in toga, Greci, Galli, Spagnoli, Britanni».

Per tutta questa serie di motivi, più o meno validi, l’opposizione dell’oligarchia senatoria preparava la propria rivincita, di cui divenne strumento efficiente e deciso Agrippina minore, figlia di Germanico, e quindi nipote di Claudio. Il suo legame con gli ambienti aristocratici e militari era noto. Dopo l’uccisione della dissoluta Messalina, Agrippina era riuscita a sedurlo e ad ottenerne il matrimonio, con lo scopo di favorire l’ascesa al supremo potere di suo figlio Nerone (nato dal suo precedente matrimonio con Domizio Enobarbo), più che per assecondare la vendetta dei senatori contro quell’imperatore che aveva sempre agito in contrasto con i loro orientamenti politici e sociali.

Agrippina aggirò, o per dir meglio abbatté l’ostacolo maggiore: dopo aver convinto l’imperatore ad adottare Nerone, di otto anni maggiore di Britannico, il figlio avuto da Messalina, non ebbe esitazioni, e, sicuramente accordatasi con ambienti senatorii a lei da sempre favorevoli, eliminò il suo augusto sposo, facendogli ingurgitare un piatto di funghi: erano funghi avvelenati? La tradizione storica lascia margini di dubbio su ciò, ma propende decisamente per questa versione. A proposito della fine del “divo Claudio” Cassio Dione così scrive:

«Agrippina fece chiamare una certa Locusta, famosa avvelenatrice recentemente condannata proprio per via di questa sua attività; dopo aver preparato con l’ausilio di costei un veleno letale, lo cosparse su uno di quei vegetali chiamati funghi. E mentre lei ne mangiò altri, fece in modo che Claudio gustasse quello avvelenato (che era appunto il più grande e il più bello). morì senza essere riuscito a dire o a sentire nulla. Era il tredici ottobre, ed egli aveva vissuto sessantatré anni, due mesi e tredici giorni, di cui tredici anni, otto mesi e venti giorni da imperatore».

Nota: L’immagine è una Statua dell’imperatore Claudio in veste di Giove (Museo Pio-Clementino, nei Musei Vaticani)

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