PERUGIA - L’attenzione che si è creata intorno al movimento "il debito non lo paghiamo" ha permesso una straordinaria assemblea all’Ambra Jovinelli a Roma due settimane fa. A cosa credi sia dato questo successo?
Siamo gli unici che crediamo al mercato si può dire scherzando, perché siamo gli unici che rischiamo rispetto al muro di silenzio che c’è in Italia sul liberismo e sulla Bce. L’unica reazione autorevole, se così possiamo dire, è stata quella del ministro Sacconi, che ha gioito per la prova di quanto andava dicendo sulla manovra. Questo è il regime che c’è in Italia. Questa è la legge-bavaglio che c’è su chi dissente. La lettera firmata da Draghi e Trichet, oltre ad essere di una violenza inaudita, è un programma di governo scadenzato, rigoroso, brutale. Noi siamo partiti prima che ci fosse la tempesta estiva, con storie sindacali e politiche diverse, con la volontà di aprire una discussione sulla schiavitù del debito. Davanti a noi c’è una grande fase di mobilitazione e a dicembre l’appuntamento per dare vita al movimento “no debito”.

Perché l’avete fatto?
Perché in Italia non è vero che non ci sono le lotte. E’ circa un anno, un anno e mezzo, che in Italia c’è la mobilitazione. Il movimento ha avuto la scintilla di avvio dal “No” degli operai di Pomigliano a Marchionne un anno fa. La prima verifica che in Italia c’è un regime padronale che controlla e decide è stata quella, e questo grazie alla politica che ha accettato tutto senza reagire. Tranne la Fiom e il sindacalismo di base, tutto il resto del mondo sindacale e politico è stato dalla parte di Marchionne. Da allora abbiamo avuto un continuo passaggio di testimone: precari, donne, migranti, studenti, i cittadini con il movimento contro la privatizzazione dell’acqua. Ci hanno fatto capire che l’Italia non è più una democrazia non solo perché siamo commissariati dalla Bce o un presidente del Consiglio che in qualsiasi altro paese occidentale sarebbe stato preso a calci nel sedere, ma perché abbiamo milioni di persone che non hanno diritti. Siamo una specie di Sud Africa.

Qual è il senso della giornata del 15 ottobre?
In Italia c’è un prodotto che non ha legittimità, il no al debito. Scenderemo in piazza sulla base di un appello che non ce l’ha con Berlusconi ma con la Banca Europea, con i cosiddetti programmi di riassetto del fondo monetario internazionale che sono programmi criminali che dovrebbero far arrestare per crimini contro l’umanità tutti i dirigenti dell’Fmi. Insomma, questo spazio politico non c’è. E se c’è non se lo fila nessuno. E quindi dobbiamo costruire uno spazio che abbia la forza di intervenire anche nella politica italiana perché ormai è chiaro che il governo Berlusconi è al tramonto ma non vogliamo farci fregare un’altra volta come nel 2006. Non vogliamo che sia un cambiamento di facciata sotto lo stesso programma. Vogliamo costruire un movimento sociale e politico che intervenga su tutte le questioni della politica partendo dalla schiavitù del debito e non un cartello elettorale. Chi vuole rimandare la lettera al mittente sta con noi chi l’accetta non sta con noi. E’ una cosa semplicissima. E’ un fattore costituente. Essere contro Marchionne, Draghi e Trichet vuol dire che si sta di qua. Gli altri, di là. Coloro i quali si ostinano a stare in mezzo spariranno. L’assemblea all’Ambra Jovinelli ha rappresentato l’avvio del percorso, che dice anche “democrazia ovunque” anche nei luoghi di lavoro. Ecco perché l’accordo del 28 giugno rimette in pista un principio medievale in base al quale un sindacato corrotto e un imprenditore che vuole negare i diritti possono rendere l’azienda terra di nessuno. La manovra sul legame tra articolo 8 e accordo del 28 giugno l’ha chiarita molto bene Emma Marceglia. E qual è stata la risposta della Cgil? Il silenzio.

Con quale programma?
Il primo punto è non pagare il debito. Gli interessi sul debito italiano sono al 7%, mentre il pil italiano cresce allo 0,5%. Gli interessi sono in realtà una usura. Noi siamo contro l’usura. Vogliamo la patrimoniale e la lotta all’evasione ma diciamo anche via le spese militari. Queste voci qui non devono servire a pagare il debito ma al welfare, a pagare case, scuole e ospedali. Il problema per loro non è ripianare il debito ma ripianare i profitti delle banche prima con 4600 miliardi e ora con altri tremila. Questo mentre il default della terra è una realtà dal 27 settembre. Sono tre i default, questo, quelle delle famiglie e il default dei diritti. Noi siamo creditori e loro sono debitori.
Infine la democrazia. Se sono così convinti che bisogna tagliare il bilancio dello Stato per i vincoli europei allora ci facciano votare.

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