di Paolo Felici

 

E' un po' come vivere in una meravigliosa villa da dieci stanze, giardino, parco e ferrari in garage e non avere lavoro e rendita. Questa è la condizione di parte del quadro normativo tecnico in Italia.     

         Un bravo progettista un giorno mi disse che nel suo lavoro doveva rispettare standard elevati propri di un paese ricco; poi mi guardò e mi disse: ma l'Italia lo è? 

         Sarà un po' l'Europa, sarà che ci siamo scoperti essere più realisti del re, tanto che ha vinto chi sostiene che un'alternativa non c'è: meglio niente. Sono numerosi gli esempi che si possono fare.

         Lavorare in un sito indiziato dal punto di vista archeologico è già difficile perché è generalmente complicata la procedura per avviare i lavori, ma è meglio lasciare perdere se si dovesse incontrare, durante gli scavi, un qualsiasi reperto, che in molte aree d'Italia è come trovare l'acqua a dieci metri dal mare. La scoperta, invece che suscitare gioia e opportunità maggiori per il progetto, è vista come una maledizione. Li vedi gli occhi di chi incontra qualcosa, di chi si imbatte con la benna del proprio escavatore in qualcosa di più duro, che già sai che non è una roccia, perché si è percepito un suono diverso, meno secco e spartano di quello che ci dà la natura. Lì vedi un po' curvi, come il loro sguardo verso il basso, che spengono un motore per forse non accenderlo mai più. Questo perché si ragiona da sempre nell'ottica della conservazione massima, come se avessimo la forza per far emergere dal sottosuolo il passato che si è naturalmente succeduto negli anni e costruirci intorno una città parallela che li contenga, con tanto di raffinata impiantistica e sicurezza. Questo accade non solo per i Bronzi di Riace, per il Germanico o per monumenti simili, i quali sono certamente la nostra ricchezza, ma per qualsiasi cosa emerga: da muri di cinta, a ruderi, a resti di coccetti dallo scarso valore storico artistico. Lo scavo archeologico, in genere, che è una prescrizione che si adotta quasi sempre, ammazza spesso le intenzioni e i sacrifici iniziali, sotterrando, devo dire, l'opera stessa. Scavare con una paletta e facendolo fare ad esperti del mestiere che vagliano la terra come cercatori d'oro ha dei costi spropositati, tanto che alla fine, nella grande parte dei casi, nemmeno si comincia, ma si sotterra ciò che c'è e quella macchia di superficie rimarrà intoccabile nei secoli dei secoli, amen. E' certamente corretto agire con la massima attenzione all'inizio, per capire, ma a seguire, se non ci si imbatte in qualche monumento, si dovrebbe lasciare la paletta, così come lasciare al proprietario la possibilità di modificare il progetto in modo che possa contenere il riutilizzo del reperto, tanto da poterlo far emergere e lasciare così scorrere il naturale susseguirsi del tempo.

Realizzare un edificio, una strada, ma anche modificare o migliorare qualcosa di esistente significa per forza adeguarsi ad una normativa altamente prestante; pertanto, spesso, molti, preferiscono lasciar perdere.

E' bene porsi questa domanda: preferiamo intanto spostarci con auto normali? O preferiamo andare a piedi in attesa di farci, tutti, la ferrari?

Molte normative tecniche che sono intervenute negli anni hanno cercato di sanare dei vuoti strutturali, soprattutto dopo l'intervento della Comunità Europea. Ma si poteva, si può, farlo per gradi, percorrendo l'esempio della normativa sulla prestazione energetica. Non si può, come per le strade, applicare una normativa altamente prestante immediatamente, altrimenti si corre il rischio di fare come quel governante che disse di suonare la campana di mezzogiorno a chi gli riportava, di primo mattino, che la gente aveva fame.

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