di Roberto Bertoni.

C'è stato un tempo, remoto ma senz'altro affascinante, in cui in questo Paese sembrava che tutto fosse possibile. Erano gli anni della rinascita e del riscatto di una Nazione uscita distrutta dalla guerra, con alcune regioni nelle quali ancora si sparava e le rappresaglie erano all'ordine del giorno e nella quale l'analfabetismo, specie al Sud, raggiungeva vette allarmanti.
Ebbene, in quegli anni drammatici e disperati non ci siamo fermati a piangere. In quegli anni, da analfabeti e con le case ancora diroccate, abbiamo scelto la Repubblica, mandando i Savoia, responsabili dell'avvento del fascismo e di tutto ciò che ne era conseguito, in esilio. E poi abbiamo cominciato un lento e graduale percorso di ricostruzione di tutto ciò che avevamo perduto, a cominciare dalla dignità.
Erano i primi anni Cinquanta, il Grande Torino si era schiantato contro il terrapieno della Basilica di Superga e non avevamo più neanche una Nazionale degna di questo nome, eppure nacquero miti sportivi destinati a segnare un decennio e a rimanere per sempre impressi nell'immaginario collettivo.
Erano anni poveri e pieni di problemi, sudore e fatica, il boom era di là da venire eppure l'ingegner Felice Cova non ebbe esitazioni ad andare a posare la prima pietra a San Donato Milanese, lanciandosi nell'avventura temeraria dell'Autostrada del Sole: un'opera mastodontica, realizzata in otto anni e basata su un obiettivo che andava ben al di là di un semplice nastro d'asfalto steso lungo la Penisola, racchiudendo in sé la missione di unire finalmente un Paese più che mai diviso e colmo di disuguaglianze.
E che dire del maestro Manzi, un eroe moderno, contestatissimo dai burocrati dell'epoca per i suoi metodi d'insegnamento poco ortodossi? Che dire di quest'uomo perbene che, con "Non è mai troppo tardi", ha alfabetizzato il Paese, consentendo a molte vecchine di recarsi alla posta e ritirare la pensione firmando col proprio nome e cognome e non più con una croce? La sfida non era solo alfabetizzare l'Italia: era emancipare gli ultimi da una condizione di subalternità e fu vinta alla grande.
E che dire di Aldo Moro che a Napoli, nel '62, convinse la DC, reduce dai metodi e dell'operato di Tambroni, ad allargare le maglie della democrazia, includendo i socialisti al governo?
E che dire di Uccio Valcareggi, un friulano connun carattere duro come la quercia, che nella finale dell'Europeo del '68, dopo la grande paura di due giorni prima, in occasione della ripetizione della sfida con la Jugoslavia, cambiò oltre mezza squadra e conquistò un trofeo che manca da allora nella nostra bacheca?
E cosa ne sarebbe stato del nostro panorama giornalistico se Olivetti non avesse accettato la sfida di finanziare L'Espresso per porre le basi di una sinistra liberale e con una chiara ambizione di governo?
Cambiando nazione, ve l'immaginate se Kennedy o il reverendo King si fossero fermati? Non avremmo mai avuto Obama e oggi la Ocasio-Cortez, al massimo, avrebbe continuato a fare la cameriera nel Bronx.
E quando a Carlos Dittborn, organizzatore dei Mondiali cileni del '62, in seguito al terremoto devastante che aveva sconvolto il Paese, dissero di lasciar perdere, egli rispose: "Porque nada tenemos, lo haremos todo" ("Proprio perché non abbiamo più nulla, riavremo tutto").
Tornando in Italia, pensate se Prodi e Andreatta si fossero fermati anziché dar vita all'Ulivo e portare finalmente la sinistra al governo. Saremmo stati meglio? No, saremmo stati perduti, divorati da un debito pubblico insostenibile e governanti come peggio non si sarebbe potuto dal berlusconismo arrembante, cosa che è pli prontamente accaduta quando alla forza visionaria di Andreatta si è sostituito il cinismo dei gattopardo che hanno condotto il centrosinistra all'estinzione.
Sapete cos'hanno in comune tutte queste storie? Che tutti i loro artefici e protagonisti, all'inizio, si erano sentiti dare dei folli e degli incoscienti ed era stato consigliato loro di lasciar perdere.
Se nel corso della storia si fosse dato retta ai burocrati e ai gestori dell'esistente, vivremmo ancora nelle caverne. Se non ci fosse stata un minimo di passione e di utopia, nessuna ingiustizia sarebbe mai stata combattuta. Se Rosa Parks si fosse alzata quel giorno a Montgomery, l'America sarebbe ancor a più iniqua, controversa e contraddittoria di quanto non sia attualmente.
Ogni conquista, comprese le più infinitesimali, è figlia di una battaglia precedente e la politica è nata proprio per questo, al pari dei sindacati: non a caso, ne hanno sempre avuto bisogno i deboli, i disperati, coloro che per farcela hanno la necessità di trovare una comunità di destino e un orizzonte comune, una meta collettiva nella quale riconoscersi. I ricchi si salvano da soli, gli altri hanno bisogno di unirsi per poter rivendicare i propri diritti.
A proposito di centrosinistra, quando Biagi domandò a Nenni chi fosse un socialista, questi rispose: "È un uomo nato per portare avanti quelli che sono nati indietro".
Nenni, orfano di padre, la cui madre, al servizio dai conti Ginnasi, rubava un dito di latte per portarlo al suo bambino che era in collegio. Nenni, amico di Mussolini, poi suo strenuo oppositore, che in esilio a Parigi la domenica cospargeva le patate di rosmarino per far credere ai vicini che si trattasse di arrosto e salvare così la dignità della propria famiglia. Nenni, che non ebbe esitazioni a tendere la mano a Edda Ciano Mussolini, rimasta in poco più di un anno vedova e orfana. Nenni, un figlio della povertà e della disperazione che divenne segretario del PSI e vice-presidente del Consiglio.
E che dire dell'altro orfano Di Vittorio, costretto ad imparare a leggere e scrivere da autodidatta, incarcerato per le sue rivendicazioni e le sue battaglie politiche e sindacali, pronto a sfidare i padroni a testa alta nella Puglia del latifondo e delle umiliazioni continue e infine segretario del più importante sindacato italiano e alla guida del sindacato mondiale?
Quando De Gasperi si recò a Parigi, nel '46, da leader di una nazione ritenuta fra le responsabili del disastro bellico, asserì: "Prendendo la parola in questo consesso mondiale, so che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me", e questa frase contribuì a far riammettere l'Italia all'onor del mondo.
Neanche loro, secondo la vulgata contemporanea, avrebbero dovuto avere alcuna possibilità di successo, eppure ce la fecero.
E allora, lasciate che ve lo dica con chiarezza: noi abbiamo reso questo tempo di relativa pace e benessere, sia pur calante, un inferno perché abbiamo smesso di credere in noi stessi. E oggi, di fronte ai pericoli costituiti da una crisi senza precedenti, ci ritroviamo afoni e inermi, convinti di non avere più nulla da dire e da dare, rassegnati, stanchi, in guerra con noi stessi e col mondo intero e così ci chiudiamo sempre di più e ci condanniamo a una serie di strazianti sconfitte.
Quando qualcuno mi chiede dove veda il declino del Paese, non rispondo nelle pieghe della pessima manovra gialloverde ma negli occhi di tanti coetanei che sembrano essere invecchiati senza mai essere stati giovani, che si lasciano andare di continuo o, peggio ancora, si lasciano travolgere dal cattivismo e dalla barbarie corrente.
E poi c'è chi, pur essendo eccezionale, è insicuro, incerto, timoroso, spaesato. Ecco, vorrei dire a questi ragazzi di andare comunque avanti, vorrei esortarli a posare la prima pietra della loro Autostrada del Sole, vorrei che fossero felici e tornassero a credere in qualcosa, a cominciare da se stessi, perché questo potrebbe essere il tempo migliore nella lunga storia dell'umanità ma dipende da noi.
E vorrei dire loro, infine, ciò che ho ripetuto per anni a me stesso: non smettere mai di far politica, nonostante le ansie, le delusioni, la rabbia e i tradimenti, perché se dovessi rinunciarvi un giorno ti guarderesti allo specchio e ti prenderesti conto di non aver vissuto. E allora davvero tutto perderebbe di senso.

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