da INVICTUS.

25 Giugno 1978. All’Estadio Monumental Antonio Vespucio Liberti, Buenos Aires, si disputa la finale del campionato mondiale di calcio. Si affrontano Argentina e Olanda. Al termine di un incontro drammatico, violento, tesissimo, un’intera nazione è in festa. Il capitano della “Seleccion”, Daniel Passarella, riceve la coppa del mondo, dal presidente argentino Jorge Videla. Il tappeto verde del Monumental è pieno di “papelitos” lanciati dagli spalti dagli argentini. Il sogno di un intero paese, il sogno del portiere Fillol, dell’arcigno Tarantini, del talentuoso e implacabile Mario Kempes, di Bertoni, del capitano Passarella è diventato realtà. L’Argentina è campione del mondo. Questa è la storia di un uomo, un calciatore che rinunciò a quel sogno. Quell’uomo rinunciò al suo sogno più grande. In quella rinuncia, quel calciatore dichiarò tutto il suo amore per il suo paese e per il suo popolo.
Jorge Carrascosa, nasce il 15 agosto del 1948 a Valentin Alsina. Fin da bambino, ha un sogno diventare calciatore. Come tutti coloro che vogliono diventare calciatore, ha un sogno più grande: giocare per la nazionale del proprio paese e vincere la coppa del mondo. Jorge debutta nella massima serie argentina nel 1967, nel Banfield. Non è dotato tecnicamente, non ha piedi raffinati. È un terzino destro aspro. Il suo gioco è duro, ma leale. Azzanna le caviglie dell’avversario. Dalla sua parte è difficile passare per chiunque, anche per il più forte. Queste caratteristiche tecniche gli valgono il soprannome di “El Lobo”, il lupo. “El Lobo” ha grossi baffoni e occhi profondi. È tenace e caparbio. È un osso duro, non molla mai. Nel 1970, passa al Rosario Central. Nel 1971, con il Rosario, vince il titolo nazionale. Le sue prestazioni gli valgono la convocazione nell’Albiceleste. “El Lobo” ha realizzato, in parte, il suo sogno: giocare per il suo paese. Nel 1973, l’allenatore dell’Huracan, Cesar Luis Menotti, vuole a tutti i costi Jorge, nella sua squadra. L’Huracan è una squadra romantica, fantasiosa, votata all’attacco, dove spiccano figure come Housemann, Brindisi, Babington. Nel quadro tattico di Menotti, Carrascosa è la caparbietà. È il bilanciamento alla fantasia. È la razionalità. È la grinta necessaria per vincere. L’Huracan di Menotti si laurea campione d’Argentina, primo e unico titolo nella storia del club.
“El Lobo” nel 1974 disputa i mondiali in Germania Ovest. In quell'edizione iridata, non riuscirà a coronare il suo sogno di diventare campione del mondo. Per Jorge la vera occasione è l’edizione successiva. Nel 1973, la Fifa aveva affidato l’organizzazione del mondiale all'Argentina. Carrascosa e tutti gli argentini vedevano nell'edizione del 1978 la vera grande occasione di coronare il sogno. All'indomani del mondiale del 1974, la “Seleccion” veniva affidata a Menotti, l’uomo del miracolo Huracan, l’unico in grado di rendere possibile l’impossibile: l’Argentina campione del mondo. “El Lobo” è un punto inamovibile dell’Albiceleste di Menotti. Ne è il leader carismatico, il capitano anzi el Gran Capitan
24 marzo 1976. Carrascosa è con la nazionale argentina all’estero. Si trova in Europa per un tour. Quel giorno, l’Albiceleste deve disputare un’amichevole in Polonia contro la nazionale di casa. Quel giorno, a Buenos Aires, i militari destituiscono Isabelita Peron con un colpo di stato. Alla notizia del golpe, “El Lobo” e compagni vogliono tornare in patria. Sono preoccupati per le sorti della nazione e per i propri famigliari. Ma l’Argentina quella partita deve giocarla. Saranno i golpisti stessi ad intimare con una telefonata di disputare quell'incontro. La “Seleccion” gioca con la morte nel cuore. Sarà l’unico evento trasmesso dalla televisione di stato dell’intera giornata.
Il sogno di Jorge e di tutti gli argentini diventa anche il sogno dei militari e di Jorge Rafael Videla, il dispotico generale e dittatore neofascista a capo dei golpisti. Videla vede, nell'organizzazione del campionato del mondo del 1978, la possibilità di sfruttare l’evento a scopi propagandistici. Attraverso il calcio vuole mostrare l’efficienza e la “bontà” del regime militare. L’Argentina deve diventare campione del mondo. E pur di diventare campione, la giunta tollera anche il “comunista” Menotti e il peronista Carrascosa. L’importante è vincere. Non importa come. Se è necessario corromperemo, pagheremo, ma l’importante è vincere. Questo era il sogno di Videla.
Videla, però, non ha solo un sogno, ha anche un programma, tragicamente efficiente. Il dittatore instaura un regime militarista, anticomunista e autoritario. Videla dà vita al cosiddetto “Processo di riorganizzazione nazionale”. Lo scopo del regime è quello di creare una “nuova” Argentina attraverso la distruzione fisica degli indesiderabili. In virtù di questo processo, ben 30.000 persone scompaiono. Di loro non si sa nulla, non si hanno più notizie. Sono i Desaparecidos. Sono uomini e donne sequestrati dalle proprie case, dai propri cari e affetti con la violenza e che non faranno mai più ritorno. Vengono incarcerati al “Vesubio”, oppure all’”Escuela de Mecanica dell’Armada”, a due passi dal Monumental. Vengono torturati e uccisi. Vengono narcotizzati, caricati su un aereo e gettati nell'oceano nei “vuelos de la muerte”. Sono coloro che vengono cercati e compianti, con coraggio, dalle mamme di Plaza de Mayo. Un vero e proprio genocidio. Solo il 5% dei Desaparecidos sono guerriglieri e terroristi. La gran parte di loro sono cittadini, studenti, sindacalisti, operai, giornalisti, religiosi che hanno l’unica colpa di avere una posizione critica nei confronti del regime. Erano indesiderabili, dovevano essere soppressi.
Manca poco al mondiale. Il CT Menotti è pronto a diramare le convocazioni. Carrascosa rinuncia. Jorge, il capitano della “Seleccion”, il leader carismatico, prende la sua decisione irremovibile, irrevocabile. “El Lobo” a quel mondiale non vuole, non può partecipare. Menotti cerca in tutte le maniere di farlo desistere, spera in un ripensamento. “El Lobo” non molla mai. È abituato ad azzannare le caviglie dell’avversario. È un “hombre vertical”. Jorge aveva un sogno, diventare campione del modo. Era il suo sogno, dei suoi compagni di squadra, di un intero popolo. Quel sogno glielo avevano rubato i militari e Videla. Il suo sogno non poteva essere anche il loro. Decise di lasciare l’Albiceleste. Non voleva essere complice della dittatura. Non poteva rappresentare dinnanzi al mondo, la “nuova” Argentina di Videla.
Il 25 giugno del 1978 al Monumental, l’Argentina divenne campione del mondo. El Gran Capitan era davanti alla TV. Quella notte, il viso di Jorge, di milioni di argentini, era rigato dalle lacrime. I suoi compagni, Kempes, Fillol, Ardiles, il CT Menotti non avevano vinto per quei figli di puttana dei militari, per Videla. Avevano vinto per alleviare il dolore del popolo. “El Lobo”, quella sera, piangeva per i Desaparecidos, per le mamme di Plaza de Mayo. Piangeva per la sua Argentina campione del mondo.
Nel 1979, all'età di 31 anni Jorge Carrascosa dava l’addio al calcio...per sempre, quel mondo non gli apparteneva più.
Jorge Rafael Videla morì nel 2013 nel carcere Marcos Paz di Buenos Aires. Stava scontando due ergastoli e cinquanta anni di carcere per crimini contro l’umanità
Questa è la storia di un sogno. È la storia di un sogno rubato. È la storia di un uomo che rinunciò al suo sogno. Si accorse che ne aveva uno ancora più grande: il suo paese, il suo popolo, l’Argentina…
“Certe cose, la patria, l’essere fratelli, la vita o la morte, non hanno niente a che vedere col prendere a calci un pallone. Per questo non mi sono mai pentito della mia scelta. Credo che ognuno di noi possa fare qualcosa per rendere migliore questo mondo e io, il mio granello di sabbia l’ho messo”
Jorge Carrascosa.
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