Vincenzo Vita

 

 

Non è stato un «mer­co­ledì da leoni», quello della Com­mis­sione bilan­cio del Senato. In gene­rale per ciò che attiene al testo della legge di Sta­bi­lità, «maxie­men­dato» dal Governo. Cer­ta­mente, a pro­po­sito dell’editoria, di cui non c’è trac­cia nel lati­no­rum dell’articolato. Gli emen­da­menti — tra­sver­sali — volti ad incre­men­tare di 60/80 milioni di Euro le risorse del Fondo per i gior­nali coo­pe­ra­tivi, poli­tici, non pro­fit e locali non sono stati accolti. Con­si­de­rati forse mar­gi­nali e ridon­danti, nell’era del libe­ri­smo. A pro­po­sito: in Fin­lan­dia, in Fran­cia, in Ger­ma­nia, in Gran Bre­ta­gna e per­sino negli Stati Uniti vi sono modelli di inter­vento pub­blico. Tutti brutti e cat­tivi? Che tri­stezza il dibat­tito italiano.

Il grido di dolore fu lan­ciato da tutte le asso­cia­zioni rap­pre­sen­ta­tive delle circa 130 testate inte­res­sate, insieme alla Cgil e alla Fede­ra­zione della stampa, ivi com­preso il Sinagi delle edi­cole accer­chiate da nor­ma­tive puni­tive. Pro­te­sta sen­tita e amara, visto che il qua­dro odierno pre­vede per l’anno pros­simo — cioè quest’anno, visto che le prov­vi­denze ven­gono attri­buite ex post — 98,5 milioni: pres­so­ché niente, se si tol­gono le spese «fisse» (cre­dito elle Poste, Con­ven­zioni con la Rai, stampa ita­liana all’estero, agen­zie). E’ la prima volta che suc­cede, tra l’altro men­tre al governo dovrebbe esserci un par­tito demo­cra­tico. Nep­pure nelle epo­che buie della vicenda ita­liana, così nume­rose testate erano state costrette a met­tere in conto la chiu­sura. Va ricor­dato che l’entità del Fondo è pas­sata da 506 milioni nel 2007 al bara­tro attuale. Non solo. Per il 2013 — ora, per lo stesso ragio­na­mento — i già miser­rimi 55,9 milioni sono scesi a 48. Par­liamo del 51/52% del fab­bi­so­gno minimo per la pura soprav­vi­venza. Intanto, per­ché non si spo­stano in altra voce Poste e Rai, che niente hanno a che fare?

Insomma, per rias­su­mere. I bilanci pre­vi­sti per l’annata in corso sono stati tagliati in corso di eser­ci­zio finan­zia­rio (è que­sto che si intende per mer­cato?) e il futuro è buio, anche a mezzogiorno.

Tra l’altro, il Fondo fu intro­dotto negli anni ottanta ed aggior­nato via via — non­ché abbon­dan­te­mente ripu­lito dalla legge 103 del 2012 — per ripa­rare almeno un po’ allo stra­po­tere della tele­vi­sione gene­ra­li­sta e degli stessi grandi gruppi editoriali.

Insomma, per garan­tire un minimo decente di plu­ra­li­smo in un paese che si col­loca al 49° posto nel mondo quanto a libertà di infor­ma­zione. Ma, «Così è, se vi pare»: sem­bra dire il Governo.

La lotta con­ti­nua, certo. Il pros­simo appun­ta­mento sarà l’imminente decreto «mille pro­ro­ghe», il con­te­ni­tore eclet­tico di ogni fine d’anno. Chissà. Si alzi la voce dei gior­nali e di chi vi lavora, che rischia la disoc­cu­pa­zione (il 30% delle testate ha chiuso i bat­tenti). Si riven­di­chi non solo qual­che euro in più, bensì — final­mente — una decente riforma dell’editoria, che per­metta di gestire senza morti e feriti la tran­si­zione all’epoca digi­tale. E’ una que­stione della demo­cra­zia, non solo di un settore.

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