Semplifichiamo la Soprintendenza
di Paolo Felici
Iniziamo con due massime:
- tutelare tutto significa non tutelare niente;
- semplificare significa anche distinguere una casa dalla cuccia del cane.
Questi sono anni in cui si sta discutendo di semplificazione; di tale sostantivo se ne sta facendo un uso smisurato. Un partito della semplificazione avrebbe successo, l'importante è che non se ne approfitti per rifilarci un bidone; del resto le conseguenze delle cattive intenzioni sono come le calorie: si fa presto a prenderne tante e sono difficili poi da smaltire. Fa pertanto bene la politica ad interrogarsi sul perché ci si accanisce tanto nelle procedure approvative esistenti e fa meglio a migliorare dove può. Provate, ad esempio, a tagliare un albero senza permesso. Scatta, come una trappola per topi, il penale. Giusto. Provare ora a tagliare un albero secco senza permesso. E' comunque vietatissimo, è necessario aprire una pratichetta in comune. E' inefficace ripetere, ribadire, che la pianta è secca, di venirla a vedere. Serve la richiesta con il deposito della pratichetta, che consiste in: modello di domanda, individuazione catastale, relazione in cui si riporta anche il tipo di albero, indicazione del punto in cui viene ripiantata l'essenza, documentazione fotografica. Facciamolo, ma non è sufficiente, perché chi vive in zone vincolate deve produrre anche la relazione paesaggistica in diverse copie. Ed è qui che arriva la beffa, perché questa non è la relazione paesaggistica normale, ma è quella semplificata! Ecco che torna il concetto in un esempio mal venduto, mal applicato. La pratichetta passerà al vaglio delle strutture tecniche comunali, della commissione e anche della Soprintendenza. Il tutto per tagliare un albero secco, dalla fine già sentenziata ed eseguita.
Ci sono inoltre interventi edilizi francamente e oggettivamente semplici, come può essere una manutenzione, una ristrutturazione, aprire o chiudere finestre, fino all'inserimento di aggetti, portici e piccoli ampliamenti. Per questi è stata inventata una procedura edilizia semplificata, che richiama il concetto sopra esposto, in cui il Committente e il Progettista per lui depositano il progetto prendendosi le rispettive responsabilità. Si chiama DIA (denuncia di inizio attività), si chiamava così, perché oggi, con una ennesima sterzata semplificativa si sono inventati la SCIA (segnalazione certificata di inizio attività); è sostanzialmente la stessa cosa, con la differenza che, probabilmente, l'acronimo richiama qualcosa che scivola, che passa e va veloce, senza intoppi. Il punto è che stavolta il legislatore ci ha azzeccato: è così, è così in tutte le zone che non sono vincolate ambientalmente e paesaggisticamente. In Italia è come dire che si può mangiare tutta la cioccolata che si vuole, basta che non è fatta con il cacao. Le Soprintendenze controllano ancora tutto, vincolando l'avvio di una qualsiasi attività edilizia al loro parere, che sfugge, in genere, ad ogni regola e a qualsiasi tempistica. Sono controlli su carta, su relazioni, su foto, su punti di vista, sul niente, senza alcun riscontro con la realtà. A che serve?
Un passo per ricostruire
Semplificare significa concentrare l'attività sulle cose importanti, sulle modifiche sostanziali del territorio. E' lì che la professionalità di tecnici pubblici può intervenire nella progettazione e nel controllo in esecuzione. Chi percepisce una finestra più grande, un portichetto o un piccolo ampliamento in un costruito già esistente?
Ecco da dove nasce il partito della semplificazione: da esempi paradossali che arricchiscono gli appunti di chi vede dappertutto malaburocrazia. Ecco da dove nasce: dall'insistenza con cui si vuole applicare una norma e una procedura per qualsiasi cosa, senza distinguere la cuccia dalla casa.
Mercoledì
20/05/15
15:31
Dottor Felici e Gentile Redazione titolando "Semplifichiamo la Soprintendenza", si è sparato nel mucchio, perché molto di questo caos o tiri a vuoto derivano non solo dal testo unico sui beni culturali ma dalla selva di norme nazionali, regionali e comunali.
Come potrete agevolmente verificare leggendo l'e-book gratuito ROTTAMA ITALIA, Renzi ha ben presente l'obiettivo di "semplificare", "snellire" e "velocizzare" l'attività delle Soprintendenze, con buona gioia di chi ha altri interessi a questo stato di cose. E sono illustri urbanisti e intellettuali a invitare alla riflessione e al controllo su quanto previsto dallo Sblocca Italia.
Se poi leggiamo tra le righe della riforma Madia della PA, il famigerato "silenzio assenso" o l'ipotesi di far coordinare anche le attività delle Soprintendenze dai super Prefetti, allora il quadro appare sempre più chiaro e più fosco.
Si parla troppo di norme, ma iniziamo anche a parlare di mezzi ...
Il personale delle Soprintendenze è adeguato per tutelare il paese con più risorse ambientali e culturali al mondo? Oppure vogliamo parlare dei funzionari che sono costretti a rimanere in ufficio perché non hanno i soldi per la benzina, se non li mettono di tasca loro. Io lavoro in un altro settore della PA ma le confermo che anche io, per spirito di servizio, tolgo i soldi dal mio stipendio per far bene il mio lavoro, altrimenti se dovessi aspettare lo Stato ... campa cavallo!
Ci sono regioni che hanno 8 funzionari di Soprintendenza per oltre 200 Comuni e altre che ne hanno oltre 20 per 100 Comuni. Le sembra una organizzazione efficiente?
Ho l'impressione che lo spettro della burocrazia maligna, infatti, sia una coperta una volta utile a coprire le magagne intrinseche al sistema, altre volte troppo corta a nascondere l'evidente caos istituzionale e normativo (che nessuno peraltro nega).
Quindi evitate di additare solo la Soprintendenza, ma chiedetevi se le Regioni che vantano migliaia di dipendenti funzionano bene, o se la retorica delle Riforme a tutti i costi, non sia solo un modo per cambiare tutto perché nulla cambi.
Giovedì
21/05/15
15:19
Mi permetto di intervenire in considerazione delle riflessioni svolte nel post che mi precede.
Nel merito della semplificazione è indubbio che si tratti di una questione complessa e delicata e che l'obbiettivo - difficile - verso il quale si deve cercare di tendere è quello di un giusto equilibrio tra certezza del diritto/celerità del provvedimento amministrativo/adeguatezza dei controlli.
C'è tuttavia una questione sollevata nel precedente post che merita un approfondimento generale che attiene all'intera PA e non solo (anche se ovviamente riguarda anche questo settore) alle cds. Sovrintendenze.
Nel precedente post si afferma "vogliamo parlare dei funzionari che sono costretti a rimanere in ufficio perché non hanno i soldi per la benzina, se non li mettono di tasca loro. Io lavoro in un altro settore della PA ma le confermo che anche io, per spirito di servizio, tolgo i soldi dal mio stipendio per far bene il mio lavoro, altrimenti se dovessi aspettare lo Stato ... campa cavallo!"
Avendo per diversi anni (come consulente esterno) lavorato nella P.A., come ricopertoi ruoli di amministratore pubblico, non posos che confermare la fondatezza di quelle affermazioni, tuttavia se esiste questo squilibrio, questa mancanza di risorse adeguate a sostenere il corretto funzionamento della PA lo si deve ad una molteplicità di fattori dei quali la carenza di risorse non è l'unico.
Certamente la progressiva riduzione dei trasferimenti statali agli enti locali come ai diversi comparti della PA pesa significativamente (in negativo) sulla qualità dei servizi che vengono erogati, ma occorre riconoscere altresì che il problema non è solo di natura quantitativa (volume delle risorse disponibili) ma anche di natura qualitativa. Dal punto di vista qualitativo pesa da un lato una insufficiente selezione del personale e soprattutto la sostanziale impossibilità di rivedere nel tempo il rapporto di lavoro con i dipendneti assunti in ruolo e dal'altro l'eccessiva incidenza delle retribuzioni rispetto al monte totale delle risorse disponibili (oramai mediamente negli enti locali le spese per il personale assorbono non meno del 60/65% delle risorse, alle quali si assommano mediamente oneri pari al 25/30% delle risorse per il mero funzionamento delle strutture, lasciando dunque disponibili per investimenti e spese da destinare al funzionamento dei servizi una percentuale compresa tra il 5 ed il 15% delle risorse complessive). Comprendo bene che il tema degli esuberi nella PA sia una questione molto spinosa e dai molteplici riflessi negativi (dato che comporterebbe la disoccupazione di persone di età mediamente superiore ai 40/45 anni, non particolarmente specializzati, che troverebebro serie difficoltà a ricollocarsi sul mercato del lavoro), tuttavia temo che sia impossibile riuscire a restituire un'adeguata funzionalità ai diversi settori della PA senza affrontare anche questo tema (per fare un esempio, la maggior parte degli enti locali con cui ho avuto rapporti profesisonali sono composte per oltre l'80/85% di personale amministrativo, dove più persone sono chiamate a svogere attività che potrebbero essere riconducibili ad un solo addetto). Da questo punto di vista non aiuta, tra l'altro, l'ostracismo sindacale verso le recenti norme in materia di mobilità dle personale che rendo così difficoltoso anche il mero riequilibrio tra enti in sovrannumero di personale e quelli con evidenti carenze.
Certamente sarebbe comunque auspicabile che si possa rapidamente tornare ad investire maggiormente sulla PA, data anche l'assoluta necessità di ammodernamento sia formativo che strumentale, tuttavia la "questione" del personale non può essere completamente elusa e con ogni probbailità, più la demandiamo a domani e più saranno drammatici gli effetti a cui anderemo in contro.