Tagli o risparmi? Non è il dubbio tra l'essere o il non essere, vivere o morire, di amletica memoria,eppure poco ci manca. Infuria il dibattito sui trasferimenti di risorse per la sanità dallo Stato alle Regioni previsto nella legge finanziaria e il drastico piano di ulteriore contenimento, 15 miliardi nei prossimi tre anni, annunciati dal ministro Lorenzin. La discussione è accanita perché riguarda uno dei beni supremi di tutti noi, la salute, e perché tocca un pilastro della civiltà italiana recente, che per decenni è stato vissuto come fiore all'occhiello della nostra società.

Per mantenere il sistema sanitario lo stato spende circa 11O miliardi l'anno. E' meno del 7% sul Pil, inferiore alla spesa media dei Paesi europei più avanzati e raffrontabili col nostro. Dopo il 2010 la spesa, come si può leggere nelle statistiche ufficiali, non solo non è aumentata, ma ha registrato, costantemente, un saldo negativo, il che rappresenta una cosa in un certo senso sorprendente e straordinaria dal punto di vista finanziario, in un Paese nel quale, è bene ricordarlo, il bilancio dello stato, al netto del debito, segna un attivo.

Ma al di là del balletto delle cifre, quello che conta di più è l'esperienza diretta di ciascuno di noi, dato che tutti, chi più chi meno, si sono rivolti o si rivolgono ai servizi sanitari. Chiunque si può dunque rendere conto che oggi, come si dice, la sanità costa e incide pesantemente, qualche volta in maniera insostenibile, sui bilanci familiari; contemporaneamente è diminuita l'accessibilità di molti servizi o la loro erogazione avviene in tempi spesso inaccettabili e pericolosi per la salute.

Ora, la cosa per così dire buffa, è che tutti i governi che si sono succeduti e che, negli ultimi venti anni, hanno proceduto a drastici tagli di risorse, li hanno sempre giustificati come "lotta agli sprechi", che avrebbe dovuto mantenere intatti i costi, la qualità e l'universalità dei servizi. "Ci risiamo!", verrebbe fatto di pensare e dire di fronte alle nuove misure annunciate dal governo in carica. Chiunque abbia infatti una qualche dimestichezza con le imprese, pubbliche e private, sa che sacche di inefficienza o presunta tale sono realisticamente ineliminabili e che esse crescono in diretto rapporto con la dimensione dell'azienda. Se si facesse una indagine sulla Fiat, sulla Pirelli o su qualsiasi consimile si scoprirebbe che anche la loro organizzazione cela isole di improduttività e spreco più o meno grandi. Tant'è che continua, quasi ossessiva in ogni impresa, la ricerca della cosiddetta qualità totale, la quale ogni volta e inevitabilmente si risolve, a dispetto della pomposità dei propositi, in un peggioramento e in un maggior sfruttamento delle condizioni dei lavoratori, esattamente come ha fatto lo stato nei confronti degli utenti della sanità pubblica. Vengono citati come tema di scandalo i costi territoriali differenziati delle forniture, la famosa "siringa" che in posti diversi ha costi diversi. Ma perché allora esistono salari diversi, costi della vita diversi? E fäcile comprendere, tanto per dirne una, che rifornire un'area scarsamente dotata di infrastrutture materiali e telematiche, non può avere lo stesso costo di un'altra meglio dotata. Bisogna di distinguere tra cattive o corrotte gestioni che vanno colpite e corrette e differenze oggettive, evitando generalizzazioni che non hanno fondamento se non nella scusa per tagliare dovunque.

Quanto poi alla Centrale unica nazionale per gli acquisti, essa ha, obiettivamente, il sapore di una "bufala". Ne verrebbe fuori una struttura elefantiaca i cui costi e inefficienze sarebbero superiori ai vantaggi. E' del tutto probabile dunque che dietro le suggestioni di una nuova presunta spending review si nasconda una profonda incisione sulla carne viva, è il caso di dirlo, degli italiani.

C'è un campo del quale non si parla mai: la revisione del prontuario farmaceutico. Pochi lo sanno, ma, a fronte dell'esistenza di meno di mille principi medicinali, vengono prodotte decine di migliaia di medicine con nomi diversi. Eliminare questo spreco consentirebbe un risparmio molto grande. Costerebbe soltanto un atto di coraggio: sfidare la lobby delle grandi case farmaceutiche.

Leonardo Caponi

L'articolo è stato pubblicato dal quotidiano Corriere dell'Umbria di martedi 24 novembre 2015.
L'autore e il giornale hanno autorizzato la sua riproduzione anche su Umbrialeft.

Condividi