Abbiamo assistito in Umbria, con la vicenda dell’uscita e poi del rientro in giunta dell’assessore Luca Barberini, ad una crisi politica contorta e dagli esiti finali, almeno per il momento, in cui la chiarezza assolutamente langue.

Con un linguaggio da Prima Repubblica, si potrebbe dire che il doroteismo ha trionfato.

Ma aldilà di questo, e ragionando in prospettiva, desta preoccupazione il cosiddetto ”documento” posto a base dell’azione di rilancio dell’attività di governo e di programmazione della Regione.

Non tanto per gli elementi di valutazione e di analisi condivisibili (il ruolo e la funzione dei fondi comunitari europei, il sostegno allo sviluppo delle imprese, l’ammodernamento delle reti immateriali e materiali) ma per il fatto che il tutto viene visto nell’ottica della piena condivisione e applicazione delle riforme anche di carattere costituzionale volute dal Governo Renzi.

Il dato che volutamente sfugge è che aldilà della riforma e del ruolo del Senato (riforma estremamente pasticciata, confusa e non condivisibile) c’è una tendenza netta e chiara alla compressione del ruolo e della funzione delle autonomie locali, a partire dalle regioni.

Il governo sta portando avanti una spietata logica di centralizzazione. Come faccia ad esaltare questa logica una regione come l’Umbria di fronte ad una crisi economica devastante, con la povertà relativa salita dell'8%, è un mistero inferiore solo a quello di Fatima.

In sintesi si produce un documento di buoni propositi che richiedono risorse e funzioni e poi contemporaneamente si esalta una impostazione (quella del governo Renzi) che nega alla radice proprio quelle risorse e quelle funzioni.

E  questo avviene mentre nell’ottavo anno dall’inizio della crisi l’Umbria continua ad imbarcare acqua più di altre regioni. Il nostro PIL è sceso in questi anni dell'8,47%, il doppio della media nazionale, l’indice di povertà è salito ed è peggiorata la qualità dell’occupazione, i disoccupati sono oltre 40 mila.

Sulla qualità dell’occupazione la dice lunga la vicenda dei voucher (oltre 2 milioni di buoni lavoro nel 2015) con 17 mila lavoratori costretti ad utilizzarli e che nelle statistiche ufficiali risultano occupati. Voucher che, in alcuni casi, si cerca di  introdurre anche nella pubblica amministrazione.

Tutto questo ci dice che a nulla servono i cambiamenti di facciata o il balletto delle poltrone ma che è necessaria invece una svolta vera che rimetta al centro la dignità del lavoro, come ci ricorda spesso anche spesso Papa Francesco.

Di questo cambiamento non c’è traccia almeno almeno fino ad oggi, nell'attivita della giunta regionale dell'Umbria. A meno che non si voglia spacciare per innovazione il fatto che l’assessore Luca Barberini utilizzi 3 milioni di euro dei fondi europei per destrutturare ulteriormente un mercato del lavoro già profondamente precarizzato.

Mario Bravi,
Comitato Operativo Umbria
Sinistra Italiana

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