di Stefano VInti.

Occorre prendere atto della realtà e non inventarsene una a propria consolazione, che è proprio il modo per non venire a capo della crisi che ha travolto la sinistra radicale. Le attuali sigle della sinistra radicale, tanto per dargli una definizione, oggi sono ridotte a piccoli gruppi politici, perdipiu' divisi tra loro da pregiudiziali ideologiche e consunti dall'autoreferenzialita'. Una competizione che spesso rasenta il ridicolo oltre che l'incomprensibile per ogni cittadino e per qualsiasi lavoratore.
Investita in primo luogo dalla scomparsa della militanza di partito, la sinistra è colpita ormai da 20 anni da una frattura fra il proprio linguaggio e il senso comune di un Paese, profondamente cambiato, che non riesce più ad interpretare.
Indubbiamente, la marginalità della sinistra è da attribuire, anche, alla crisi della sfera pubblica, la subordinazione del 'noi' rispetto all' io, che mette in profonda discussione le categorie della politica classica.
Si è realizzato il rovesciamento del ruolo della politica nell'esistenza delle persone, è cambiato anche il linguaggio, e i modi e le forme degli antagonismi sociali che la sinistra non riesce più a intercettare.
La sinistra se vuole ricostruire il senso della propria esistenza nella società reale, deve sapersi di nuovo connettere idealmente, sentimentalmente e praticamente con quei settori colpiti dal neoliberismo nelle loro condizioni materiali di vita, e con quelli che alludono ad un progetto di futuro.
Quindi, è indispensabile ripensare un nuovo tipo di relazione fra sociale e politico, che tenga conto degli effetti sociali e culturali del capitalismo globalizzato e finanziarizzato, di questa Europa, sui lavoratori, sui cittadini e sul popolo.
Tentare di restituire un senso alla parola sinistra, significa ricostruire una nuova idea di politica, ridare senso alla democrazia in una fase di post-democrazia. Questioni ineludibili che nessuna tattica elettorale può affrontare e tantomeno illudersi di risolvere.
 

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